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capitolo undecimo 497

dulgenza, non servono punto a ottenere il perdono della colpa, per la quale il peccatore è riconciliato con Dio. Questo perdono è anzi, come s’è visto, un preliminare necessario all’acquisto dell’indulgenza; e s’ottiene per que’ mezzi eminentemente e soprannaturalmente morali, di cui s’è discorso in un capitolo antecedente.

L’indulgenza dunque non s’applica, come s’è visto ugualmente, se non alla soddisfazione della pena temporale, dovuta per il peccato alla giustizia divina, anche dopo rimessa la colpa, e la pena eterna. Ed è la Chiesa che insegna (certo, non senza oppositori) che al peccatore riconciliato rimane un tal debito; e mette per un’altra condizione essenziale al ristabilimento nello stato di grazia (cioè in uno stato di moralità soprannaturale) il riconoscimento del debito medesimo, e il sincero e fermo proposito di scontarlo, per quanto possa, in questa vita, con opere penitenziali, sia ingiunte, sia liberamente scelte, e con l’accettar pazientemente i gastighi temporali che gli possono essere mandati da Dio. Non già che le nostre opere abbiano alcun valore a ciò, nè che noi possiamo, in mariera veruna, scontar di nostro il debito contratto con la giustizia infinita offesa da noi; ma i meriti infiniti dell’Uomo Dio, i quali ci ottengono il perdono della colpa, sono anche quelli che danno alle nostre opere penitenziali un valore che le rende atte a scontarne la pena. E la Chiesa, o prescrivendo o proponendo alcune di queste opere, applica ad esse, in maniera particolare, un tal valore, per l’autorità conferitale da Quello stesso; da cui procede ogni merito. Ma intende forse, con questo, di restringere a tali opere tutto l’obbligo e tutto il lavoro della penitenza? Per immaginarsi una cosa simile, bisognerebbe non aver cognizione veruna del suo insegnamento su questa materia. Cito di novo, come un saggio di questo universale insegnamento il catechismo citato dianzi; il quale, alla domanda: «Con quale spirito ho da procurare l’acquisto dell’indulgenze?» risponde:

«Fate prima dalla parte vostra tutto ciò che potete per soddisfare a Dio coll’esercitarvi in ogni opera salutare, e massime in quelle di mortificazione e di misericordia verso i prossimi. Poi conoscendo di non poter soddisfare abbastanza per i vostri peccati, nè colle penitenze imposte dal confessore, nè colle vostre spontanee, e ben sapendo di non aver tollerati colla debita pazienza e rassegnazione i flagelli, coi quali Dio v’ha amorosamente visitato a questo fine, procurate con ogni studio d’acquistar l’Indulgenze, profittando così dello spirito caritatevole della Chiesa nel dispensarle1

Ed ecco come, col richiedere per condizioni indispensabili, la confessione del core, e il desiderio di soddisfare, per quanto si possa, alla giustizia divina, desiderio che non è sincero, se non s’accompagna con una vita, penitente; ecco, dico, come, non solo l’indulgenza in genere, ma la più ampia indulgenza concessa alla più piccola opera si concilii con tutti i princìpi della moralità.

«Ma come conciliare la misericordia di Dio col gastigo riservato a chi non è in caso di guadagnare il perdono per questa strada così facile?»

S’osservi che è quasi impossibile il caso d’un fedele, a cui sia chiusa ogni strada di ricorrere all’indulgenze della Chiesa. Ma supponendo questo caso, la Chiesa è ben lungi dall’asserire che a questo fedele si riservi gastigo. Essa dispensa i mezzi ordinari di misericordia che Dio le ha confidati; ma è ben lungi dal voler circoscrivere questa misericordia

  1. Ibid.