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capitolo decimo 493

molti papi e molti vescovi misero una cura particolare a questo loro dovere; quanto non ha fatto in questa parte il solo san Carlo, stando sempre attaccato alla Chiesa? Mai insomma non sono mancati nel clero cattolico gli uomini zelanti e sinceri che alzassero la voce contro questi abusi: e li correggessero dove potevano. Tutti i fedeli finalmente possono in qualche parte rimediare agli abusi d’ogni genere, se non altro con l’essere essi medesimi pii, vigilanti, osservatori della legge divina: perchè è indubitabile che gli abusi nascono dove gli uomini li desiderano, e che gli uomini li desiderano quando sono corrotti, e, non amando la legge, se ne fingono un’altra; che chi riforma sè stesso coopera alla riforma dell’intero corpo a cui appartiene.

Abbiamo ammesso il fatto, affine di provare che non ragionerebbe chi da esso concludesse contro la religione; ma ora converrà esaminarlo. «Il prete, dice l’illustre autore, vive de’ peccati e de’ terrori del popolo; il peccatore moribondo prodiga, per pagar messe e rosari, il danaro accumulato spesso per mezzi iniquissimi: accheta a prezzo d’oro la sua coscienza, e si crea presso il volgo la riputazione d’uomo pio.»

Osservo di passaggio che, per quanto io sappia, non s’è mai parlato di retribuzioni per rosari; e, del rimanente, non essendo la recita di questi una parte del ministero ecclesiastico, se ci fossero retribuzioni, non verrebbero necessariamente ai preti.

S’osservi poi, cosa molto più importante, che non solo è dottrina cattolica, che, a scontare il peccato d’avere accumulato danaro per mezzi iniqui, è condizione necessaria la restituzione, quando sia possibile, e che rivolgerlo ad altri usi, per quanto santi possano essere, è un inganno, è un persistere nell’ingiustizia; ma ancora, che questa dottrina è universalmente predicata e conosciuta in Italia. Non oso affermare che non ci possa essere alcun ministro prevaricatore, il quale insegni il contrario; ma, se ne esiste alcuno, è certamente un’eccezione tanto rara, quanto deplorabile.

È noto quante restituzioni si facciano per mezzo de’ sacerdoti. «Que de restitutions, de réparations, la confession ne fait-elle point faire chez les catholiques1!» Que’ sacerdoti inducono allora un uomo ad acchetare la sua coscienza a prezzo d’oro; ma quest’oro, il quale non fa che passare per le loro mani, è un testimonio che, lungi dall’alterare la purità della religione per appropriarselo, insegnano che non può diventar mezzo d’espiazione, se non ritornando donde era stato ingiustamente levato.

È vero che il prete, il quale faccia il dover suo, cerca di eccitare ne’ fedeli il terrore de giudizi divini, quel terrore, da cui, per la portentosa nostra debolezza, tutto ci distrae: terrore santo, che ci richiama alla virtù; terrore nobile, che ci fa riguardare come sola vera sventura quella di fallare la nostra alta destinazione, terrore che ispira il coraggio, avvezzando chi lo sente a nulla temere degli uomini. Ma, dopo avere eccitato questo terrore con le sue istruzioni, c’è forse un prete il quale insegni che il mezzo, di viver sicuri, è di largheggiare coi preti? C’è chi n’abbia sentito uno solo? O non dicono tutti piuttosto: «Lavatevi, mondatevi, levate dagli occhi di Dio la malvagità de’ vostri pensieri, cessate di mal fare: imparate a far del bene, cercate quello che è giusto, soccorrete l’oppresso, proteggete il pupillo, difendete la vedova2

Certo, non si vuol dire che l’avarizia non possa vedere un oggetto di

  1. J. J. Rousseau, Émile. liv. IV, not. 41.
  2. Lavamini, mundi estote, auferte malum cogitationum vestrarum ab oculis meis: quiescite agere perverse; discite benefacere; quærite iudiciutn, subvenite oppresso, iudicate pupillo, defendite viduam. Isai. I, 16, 17.