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capitolo terzo 439

vicini allo stato selvaggio; ma non gliene sarebbe mancati tra le nazioni più conosciute, e che hanno più fama di civili e illuminate. Trovavano essi nel loro core e nella loro mente la vera misura del giusto e dell’ingiusto i gentili? Que’ Romani i quali sentivano con raccapriccio che un loro cittadino fosse stato battuto di verghe, e ai quali pareva un atto di giustizia ordinaria il dar vivo alle fiere uno schiavo, fuggito per non poter resistere ai trattamenti d’un padrone crudele? Di tale iniquità di fatti e di giudizi, gli storici e i moralisti antichi ci hanno trasmesse non poche testimonianze, e, per lo più, senza avvedersene1. Quale è dunque questo

    lemagne, troisième partie, chap. 2: Qu’est-ce donc qu’un système qui inspire à un homme aussi vertueux que Locke de l’avidité pour de tels faits? Ma s’avvide subito essa medesima che questa non era un’obiezione; e difatti soggiunge: Que ces faits soient tristes ou non, pourra-t-on dire, l’important est de savoir s’ils sont vrais. Così è: l’unica cosa che si deve cercare ne’ fatti è la verità: chi ha paura d’esaminarli dà un gran segno di non esser certo de’ suoi princìpi. Ma, segue la celebre donna: Ils peuvent être vrais, mais que signifient ils? Significano che non c’è alcuna nozione di morale, innata nella mente umana; e contribuiscono a provare che non c’è in essa, nozione innata di sorte veruna. E se il Locke si fosse ristretto a combattere la supposizione contraria, avrebbe reso un servizio, non definitivo, di certo, ma importante, giacché non ci sono errori innocui in filosofia, e in morale specialmente; e il ritorno dall’errore all’ignoranza è un progresso. Ma, come oramai tutti ne sono d’accordo, il Locke non combatte quell’errore, che per sostituirgliene uno peggiore di molto; e è cosa ugualmente riconosciuta, che quella spropositata sentenza dell’Helvetius veniva senza sforzo dal principio posto da quello; per quanto si può chiamar principio un’ipotesi negativa e espressa con una metafora. E a questo proposito, mi si permetta un’osservazione non richiesta dall’argomento, ma brevissima, e intorno a un fatto che può parer singolare: ed è che i discepoli del Locke, i quali gridarono tanto contro i sistemi fondati su delle ipotesi, non abbiano badato che il loro maestro aveva prese le mosse da un «Supponiamo» (Let us then suppose). E cosa s’aveva a supporre? «Che la mente sia, come a dire, un foglio bianco, privo d’ogni carattere, senza idea veruna» (the mind to be, as we say, white paper, void of all characters, without any ideas). Ma per far davvero una tale supposizione, cioè per averne il concetto, e non una sola forma verbale, era necessario sapere cosa s’intendesse per mente; come, per supporre un foglio di carta privo di caratteri, é necessario (cosa del resto facilissima) sapere cosa s’intenda per foglio di carta; giacché, come concepire che sia nè fornito, nè privo d’una cosa qualunque, ciò che non si sa cosa sia? Ora, cos’è la mente priva di qualunque idea? A questo non pensò il Locke, parendogli che bastasse il vocabolo. Donde vengono alla mente tante idee? domanda poi a sè stesso; e risponde in una parola: «dall’esperienza» To this I answer in one word, from experience (Saggio sull’íntelletto umano, lib. II, tap. I). Ma, di novo, per intendere come la mente acquisti ogni idea dall’esperienza, bisogna sapere cosa sia la mente, quando fa il suo primo atto d’esperienza. E di questo, nulla. Quindi la proposizione del Locke equivale a quest’altra: In quella maniera che concepite un foglio di carta privo di caratteri, sapendo benissimo cosa sia un foglio di carta, dovete poter concepire cosa sia una mente priva d’ogni idea, senza sapere, nè cercare cosa sia una mente. Dico: senza saperlo: e il Locke medesimo lo confessa implicitamente; giacchè, se avesse creduto che dovesse essere una cosa nota, non avrebbe detto: supponiamola. La mente è per lui un non so che, del quale si potrà ragionar con fondamento, quando s’aggiunga che in questo non so che non c’è niente: un’incognita, più il nulla. E siccome, in quel soggetto incognito, le prime idee, secondo gli esperimenti del Locke, erano prodotte e formate dalle sensazioni d’oggetti materiali, così non c’è da maravigliarsi che de’ seguaci di quel filosofo, pensando (con ragione, ma troppo tardi) che si doveva pure cercare quale fosse quest’incognito soggetto dell’idee, abbiano creduto di trovarlo in un organo del corpo umano. È bensì un fatto memorabile, e utile a rammemorarsi spesso, che abbia potuto regnare in tanta parte d’Europa, per tanto tempo, e con tanto vari e vasti effetti, un sistema fondato sopra un’ipotesi negativa e verbale, fatta parer positiva e intelligibile da una metafora viziosa.

  1. Ne citerò due esempi, e perchè d’uomini tra i più illustri del gentilesimo, e perchè forse non abbastanza notati. Cicerone il quale, nel celebre passo dove descrive l’atroce supplizio inflitto da Verre a P. Gavio (in Verr. Act. II, lib. V, 61 et seq.), non sa vedere altra dignità offesa, altra persona straziata, che quella d’un cittadino romano, ci ha lasciato, in una delle sue lettere, un saggio ancor più tristo e più aperto, d’indifferenza per l’avvilimento e per gli strazi dell’uomo come uomo. Dico quella lettera dove loda il suo paesano M. Mario di non aver fatto il viaggio di Roma, per vedere