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tutto da sè, e non avessero l’aiuto delle coscienze erronee. E, per ingannar le coscienze, qual cosa più efficace d’una massima che, non solo leva al male la qualità di male, ma lo trasforma in un meglio? che fa della trasgressione un atto sapiente, della violazione del diritto un’opera bona? Quello, però, che può parere strano a chi appena ci rifletta, è che una proposizione così repugnante al senso comune, e i termini della quale fanno a’ cozzi tra di loro, sia potuta non parere strana a ognuno. La morale, che è una legge, e, come legge, è essenzialmente assoluta e una, divisa in due parti, una delle quali distrugge l’altra! Una morale piccola, e che perciò cessa d’essere obbligatoria, anzi dev’essere disubbidita; e alla quale, nello stesso tempo, si lascia, si mantiene questo nome di morale, che include essenzialmente l’idea d’obbligazione, e non avrebbe nessun significato suo proprio senza di essa! Anzi bisogna lasciarglielo per forza, e non se ne troverebbe uno da sostituirgli; giacchè, cosa può essere la morale applicata a cose di minore importanza, se non la morale? Dimanierachè a queste due parole «piccola morale,» si fa significare una cosa che è, e non è obbligatoria! Davvero, a considerare il fatto separatamente, non si saprebbe intendere come mai una così pazza logomachia si fosse potuta formare in una mente, non che esser ricevuta da molte. Ma, anche qui, il fatto diventa piano, data che sia una dottrina che riduca la giustizia all’utilità, e faccia di questa il principio della morale; poichè, essendo così levata di mezzo l’idea d’obbligazione, e l’idea corrispondente di divieto, le quali non sono punto incluse nell’idea d’utilità; rimanendo questa:il solo motivo e la sola regola della scelta delle deliberazioni; avendo essa differenti gradi; è affatto ragionevole il sacrificare il minore al maggiore. A delle menti preparate da una tale dottrina, quella proposizione non riusciva singolare, che per l’argutezza della forma; e dall’antitesi stessa acquistava un’apparenza d’osservazione più profonda. Dire che è ben fatto il posporre un piccolo dovere a un gran vantaggio, avrebbe urtato: sarebbe stato un contradire troppo direttamente al linguaggio comune, nel quale il posporre ogni cosa al dovere è così abitualmente espresso, in forma ora di precetto, ora di lode, ora di vanto, secondo il caso. Con quella dottrina, la contradizione era schivata: il dovere non era posposto a nulla, non poteva più soffrire confronto veruno, perchè non c’era più. Rimaneva solamente la morale, cioè una parola senza senso, ma che faceva le viste d’affermare rispettosamente ciò che negava logicamente. Ora, una tale dottrina, non nova, dicerto (chè, senza andar più indietro, è d’Orazio quel verso

Atque ipsa utilitas, justi prope mater et æqui),

era stata, da poco tempo, rimessa in luce e in credito, sotto una nova forma, e con novi argomenti, come sapete, da un libro intitolato: Dello spirito; libro che era un discendente naturale e immediato d’un altro, intitolato: Saggio sull’intelletto umano. Mi pare che la sorgente fosse abbastanza metafisica.

secondo.

Non c’è che dire.

primo.

Dunque, giacchè parlo bene, lasciatemi citare anche un fatto di quell’epoca medesima, nel quale quella trista dottrina si vede applicata in un modo terribile, e da un uomo che, in punto d’onestà, aveva una riputazione ben diversa da quella dell’autore dell’arguta proposizione. L’uomo era il Vergniaud, e il fatto è raccontato nelle Memorie d’uno de’ Girondini