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Ognuno riconoscerà senza dubbio che, per poter portare un giudizio compito sul romanzo storico, era necessario d’entrare in una tale questione. Ma siamo, certo, ben lontani dall’immaginarci che l’opinione da noi espressa su questo punto ci si passi così facilmente. Cercheremo dunque di giustificarla, paragonando l’assunto del romanzo storico con quello dell’epopea e della tragedia, e accennando le variazioni avvenute nella teoria e nella pratica di queste due principali e più illustri forme del genere, per ciò che riguarda la loro relazione con la storia. Variazioni che poterono bensì esser segnate (chi non lo sa? o chi potrebbe dimenticarsene?) da splendidi e perenni monumenti d’ingegno, perché l’ingegno imprime una forma durevole anche alle cose che non avrebbero per sé la ragion di durare; ma variazioni mosse da una cagione ben potente, poiché la bellezza sempre sentita, e l’autorità sempre viva di que’ monumenti non bastarono, in nessun tempo, a troncarne il corso. Fabbricati, non solo da mani maestre, ma in parte con istrumenti che hanno persa la loro attitudine, par che dicano a chi più e meglio li guarda: ammirami, e fa altrimenti.