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dite pur su, che v’ascolto attentamente. Allora quello si mise con tanto più impegno a far valere la sua causa; e ci riuscì così bene, che il giudice gli disse: avete ragione anche voi. C’era lì accanto un suo bambino di sette o ott’anni, il quale, giocando pian piano con non so qual balocco, non aveva lasciato di stare anche attento al contradittorio; e a quel punto, alzando un visino stupefatto, non senza un certo che d’autorevole, esclamò: ma babbo! non può essere che abbiano ragione tutt’e due. Hai ragione anche tu, gli disse il giudice. Come poi sia finita, o l’amico non lo raccontava, o m’è uscito di mente, ma è da credere che il giudice avrà conciliate tutte quelle sue risposte, facendo vedere tanto a Tizio, quanto a Sempronio, che, se aveva ragione per una parte, aveva torto per un’altra. Così faremo anche noi. E lo faremo in parte con gli argomenti stessi de’ due avversari; ma per cavarne una conseguenza diversa e, da quella degli uni, e da quella degli altri.

Quando voi, diremo ai primi, pretendete che l’autore d’un romanzo storico vi faccia distinguere in esso ciò che è stato realmente, da ciò che è di sua invenzione, non avete certamente pensato se ci sia la maniera di servirvi. Gli prescrivete l’impossibile, niente meno. E per esserne convinti, basta che badiate un momento come queste cose devono esserci mescolate, affinchè possano far parte d’un racconto medesimo. Per circostanziare, verbigrazia, gli avvenimenti storici, coi quali l’autore abbia legata la sua azione ideale (e voi approvate di certo, che in un romanzo storico entrino avvenimenti storici), dovrà mettere insieme e circostanze reali, cavate dalla storia o da documenti di qualunque genere; perchè qual cosa potrebbe servir meglio a rappresentare quegli avvenimenti nella loro forma vera, e dirò così, individuale? e circostanze verosimili, inventate da lui; perchè volete che vi dia, non una mera e nuda storia, ma qualcosa di più ricco, di più compito; volete che rifaccia in certo modo le polpe a quel carcame, che è in così gran parte, la storia. Per le stesse ragioni, ai personaggi storici (e voi siete ben contento di trovare in un romanzo storico de’ personaggi storici) farà dire e fare, e cose che hanno dette e fatte realmente, quand’erano in carne e ossa, e cose immaginate da lui, come convenienti al loro carattere, e insieme a quelle parti dell’azione ideale, nelle quali gli è tornato bene di farli intervenire. E reciprocamente, ne’ fatti inventati da lui, metterà naturalmente circostanze ugualmente inventate, e anche circostanze cavate da fatti reali di quel tempo e di quel luogo; perchè qual mezzo più naturale per farne azioni che abbiano potuto essere in quel tempo, in quel luogo? Così a’ suoi personaggi ideali darà parole e azioni ugualmente ideali; e insieme parole e azioni che trovi essere state dette e fatte da uomini di quel luogo e di quel tempo, ben contento di poter rendere più verosimili le sue idealità coi propri elementi del vero. E basta questo per farvi vedere che non potrebbe fare tra queste cose la distinzione che voi gli chiedete, o piuttosto non potrebbe tentar di farla, se non spezzando il racconto, non dico ogni tanto, ma ogni momento, più volte in una pagina, non di rado in un solo periodo, per dire: questo è positivo, cavato da memorie degne di fede; questo è di mia invenzione, ma dedotto da fatti positivi; queste parole furono dette realmente dal personaggio a cui le attribuisco, ma furono dette in tutt’altra occasione, in circostanze che non entrano nel mio romanzo; quest’altre che metto in bocca a un personaggio immaginario, furono dette realmente da un uomo reale; ovvero, erano discorsi che correvano per le bocche di molti; e via discorendo. Dareste voi a un componimento così fatto il nome di romanzo? O trovereste che meritasse un nome qualunque? O piuttosto si può egli concepire un componimento così fatto?

Forse mi direte che non v’è mai passato per la mente di chieder tanto.