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appendice al capitolo quarto 177

loro. Qual mezzo avevano i possessori italiani di trattar tra di loro degl’interessi comuni? Chi era che potesse proporre, stipulare, che dico? supplicare, piangere in nome di tutti? E poichè ciò che ha dato principalmente occasione d’immaginare una divisione delle terre tra Romani e Longobardi, è una tal quale analogia con altri fatti di questo genere, e fatti certi, non sarà fuor di proposito l’osservare quanta e quanto essenziale differenza corra tra questi fatti certi e quell’immaginato. Parlando del come gli Eruli siano diventati possessori d’una parte delle terre romane, la storia dice semplicemente che questa fu ad essi concessa dal loro capo Odoacre 1; nelle leggi de’ Burgundi e in quelle de’ Visigoti, i due terzi delle terre si dicono assegnati ai Barbari dalla liberalità, dalla munificenza de’ re barbari 2; e i Longobardi sarebbero arrivati al possesso per mezzo d’un accomodamento, d’una trattativa! ci sarebbe voluto un invito degli antichi possessori! di que’ possessori che poco prima essi scannavano allegramente!

Due interpretazioni ha proposto il signor Troya: una della lezione più comune, l’altra d’una nova variante. E quella e questa, secondo l’illustre autore, verrebbero ugualmente a significare un aggravamento della condizione de’ tributarii: senonchè nella prima questo aggravamento sarebbe alquanto specificato; nella seconda sarebbe enunciato solamente in una forma generalissima.

«I popoli aggravati furono in nuova maniera divisi che non dianzi, e però crebbe il loro aggravio mercè un nuovo sorteggio di quelli che rimasero nell’altra metà delle sostanze non cedute da’ Duchi ad Autari 3:» tale è il significato che al signor Troya pare il più probabile, della lezione comune: populi tamen aggravati per langobardos hospites partiuntur. Ma anche qui osiamo dire che si fa violenza a quest’ultimo vocabolo, il quale, se il contesto lo richiedesse, potrebbe bensì voler dire che furono divisi, ma non già che lo furono una seconda volta, e in un’altra maniera. E di più, non si vede come potesse avvenire questo novo sorteggio. Che i tributarii fossero stati ridotti a una servitù più bassa e più gravosa, s’intenderebbe; ma come potevano esser divisi di novo, quando erano già diventati proprietà di tali e tali Longobardi?

L’altra, come s’è detto, e come è noto, è non solo un’interpretazione ma una lezione affatto nova. In cinque codici il signor Troya ha trovato patiuntur, in vece di partiuntur. E, senza però ammettere per sicura questa lezione, la spiega condizionatamente così: «I Duchi dettero la metà delle loro sostanze ad Autari; nondimeno (tamen) i popoli aggravati dagli Ospiti o stranieri Longobardi ne patirono: ciò vale che vollero i Duchi rifarsi, taglieggiando nuovamente i Romani, ed imponendo loro oggravio maggiore del tributo d’un terzo de’ frutti 4.» Troppe ragioni però ci pare che portino ad attribuire quel patiuntur a un errore d’un amanuense, o d’amanuensi. Prima di tutto, ci vorrebbe molto per ammettere che Paolo abbia potuto dare al verbo pati una significazione così inusitata: significazione che quel verbo ha bensì acquistata, trasformandosi,

  1. ... partem agrorum quos Odoacer factioni suae concesserat inter se Gothi diviserunt. Procop. Bell. Goth. Lib. I, cap. I.
  2. ... ut quicumque agrum cum mancipiis, seu parentum nostrorum, sive largitate nostra perceperat... — Lex Burgund. LIV, I.
    ... iis qui agris et mancipiis nostra munificentia potiuntur... Ibid.
    ... aut de terra Romani Gothus sibi aliquid audeat usurpare aut vendicare nisi quod de nostra forsitan ei fuerit largitate donatum. Leg. Wisigoth. Lib. X, tit. 8.
  3. Discorso, ecc.§ XLIV.
  4. Ibid.§ CCLXXXVII.