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appendice al capitolo quarto 169

si riducesse a un semplice tributo reale, o si voglia che al tributo andasse unita la servitù delle persone, riesce ugualmente un fatto inesplicabile, contradittorio.

Nella prima ipotesi, quale disproporzione tra i due effetti che si vogliono contemporanei, e prodotti da una stessa cagione! Molti scannati per impossessarsi de’ loro beni, il resto assoggettati semplicemente a un’imposizione; e imposizione non punto esorbitante appetto ai due terzi delle terre portati via altrove da altri Barbari molto più miti: un macello e un catasto! Inverosimiglianza notata e fatta vivamente risaltare dal signor Troya. «A questo dunque solamente,» dice, «riuscite sarebbero le tante industrie sanguinose, la tanta strage, i tanti esiglj comandati da Clefo e da’ Duchi a sangue freddo e solo per cupidigia come scriveva il Diacono? E sto a vedere se il Muratori non creda, che le terre di quegli uccisi e di quegli esigliati o de’ fuggiti non fossero state concedute agli eredi legittimi di tutti costoro da’ Longobardi, mercè il Canone d’un terzo de’ frutti! O che ciascun Longobardo si dovesse rivolgere a’ tribunali ordinarj se al Romano, preteso debitore, non piacesse pagare quel Canone! o frodarlo nel peso e nella qualità! 1» Ironia che sta bene a tanta ragione.

Nell’altra ipotesi, non è forse meno improbabile, come è, credo, fuori d’ogni analogia, la disproporzione tra la quantità del tributo, e la condizione servile. Gli Eruli, gli Ostrogoti, i Visigoti e i Burgundi, lasciando al Romano intatta la libertà, s’erano appropriati, chi il terzo, chi i due terzi delle terre; e i Longobardi, riducendolo in servitù, gli avrebbero concesse le due parti de’ frutti, contentandosi d’una! l’avrebbero messo in miglior condizione del nostro mezzaiolo! Quella cupidigia bestiale che, per rendere il possesso più spedito, più sicuro, più intero, ammazzava, e dove serbava pure qualcosa d’umano, sostituiva alla morte la servitù, sarebbe poi diventata così discreta nell’esigerne il frutto!

Un’altra inverosimiglianza, non così grave, ma nemmeno senza peso, e comune alle due ipotesi, è che a que’ conquistatori sia venuto così tardi il pensiero d’imporre un tributo a modo loro. Non è certamente una cosa impossibile, ma non è la più probabile che si fossero tanto allontanati dalla consuetudine comune de’ Barbari di quell’epoca, e segnatamente di quelli che gli avevano preceduti in Italia: voglio dire la consuetudine d’assegnar direttamente a ogni uomo dell’esercito una parte del frutto della conquista; e che avessero mantenuta l’imposizione imperiale sulle terre, pagata allo Stato, non alle persone, e di più legata con una gerarchia romana. Quelle spedizioni e invasioni si facevano per il conto, non d’un governo, ma d’una nazione, cioè d’una massa d’eroi, il principale scopo de’ quali ora d’andare a viver d’entrata.

Ogni cosa invece viene, se non c’inganniamo, a trovarsi a suo luogo, quando s’ammetta, o piuttosto si riconosca la distinzione de’ due momenti storici, così chiaramente indicata, anzi espressa nel testo. Da principio, con la conquista barbarica un tributo barbarico; poi, con lo spoglio e con la strage di molti, lo spoglio e la servitù degli altri. Alcuni de’ vincitori, stando attaccati a una massima vecchia, che da un moderno fu espressa con quel leggiadro equivoco: il n’y a que les morts qui ne reviennent point, fanno man bassa sugli spogliati; altri, ne’ quali la cupidigia e la politica lasciano il posto a un resticciolo d’umanità, si cont-

  1. Appendice al Discorso sulla condizione de’ Romani vinti da’ Longobardi; cap.II, § 1.