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154 discorso storico

quelle leggi era anzi di prescrivere la pubblicità della nomina, e d’impedire che si presentassero a trattar le cause de’ vescovi e delle chiese, persone delegate con un atto privato, e non conosciute da’ magistrati e dal pubblico. Le formole: In praesentia comitum, Una cum comite, indicavano il placito del conte, dove la presenza del popolo veniva da sè. Il capitolo di Carlomagno, citato poco fa, e che si riferisce a diverse cariche, fu da lui inserito nelle leggi longobardiche, ma omesse le parole: «col conte e col popolo,» e aggiunte quest’altre: «e timorati di Dio 1.» In questi due casi, l’intento diretto del legislatore era di comandare, o piuttosto di raccomandare che le nomine cadessero sopra persone di buona qualità: la forma dell’elezione diventava una circostanza meramente accessoria. Perciò è solo accennata incidentemente, e per un di più nel capitolo; nella legge è passata sotto silenzio, e sottintesa. Anzi, quel capitolo era stato promulgato di nuovo anche in Francia da Carlomagno medesimo in un secondo capitolare dell’anno medesimo; e ugualmente senza le parole: cum comite et populo 2.

Se, come ci pare sufficientemente provato, il popolo, al tempo di Carlomagno, faceva bensì una parte nell’elezione degli scabini e di tutte quell’altre cariche, ma la parte di spettatore, non deve parer verisimile che la formola: totius populi consensu, usata da Lodovico, suo figlio, significhi una parte così importantemente diversa, come sarebbe il cooperare effettivamente all’elezione medesima con un consenso formale. Per intenderla così, bisognerebbe volere, o che Lodovico avesse, in quell’occasione, conferita formalmente al popolo quella nova attribuzione, o che non avesse fatto altro che riconoscere implicitamente una nova consuetudine; e l’uno e l’altro sono ugualmente inverisimili. L’oggetto del capitolo di Lodovico era d’autorizzare i messi reali a deporre i cattivi scabini, e a sostituirne de’ buoni: se avesse di più voluto introdurre una novità così essenziale nella forma dell’elezione, è egli credibile che l’avrebbe fatto con una frase incidente, accennando piuttosto che prescrivendo, e senza indicare nessuna norma, per una cosa che n’avrebbe avuto tanto bisogno 3? E sarebbe forse anche più strano il supporre che si fosse fatta, da sè, e fosse diventata consuetudine, in que’ vent’anni ch’erano corsi dopo il capitolo di Carlomagno. Chè non era certamente quello, e non era nemmeno vicino, il tempo in cui il popolo (nel senso d’una totalità d’uomini liberi) fosse per la strada d’acquistare novi poteri: era invece ciò che facevano i primati secolari e ecclesiastici: s’andava verso il feudalismo. E, del resto, non sono gli acquisti d’una moltitudine quelli che si fanno senza fracasso, e senza che ne rimangano memorie dirette nella storia.

  1. Ut Judices, Advocati, Centenarii, Scabini, Praepositi, quales meliores inveniri possunt, et Deum timentes, constituantur ad sua ministeria exercenda. Car. M. 1. 55. Trascriviamo qui la formola dell’elezione degli Advocati, cavata dal Codice Estense (d’incerta data), e pubblicata dal Muratori (Rer. It. T. I, part. II, pag. 96). Domne Comes, hoc dicit Raynaldus Episcopus, quod vult eligere Donatum, ut sit suus Advocatus, et de Episcopatu; quod habeat de hac hora in antea licentiam et potestatem de rebus Ecclesiae appellationes faciendi et recipiendi, et res Ecclesiae per pugnam requirendi et excutiendi; et quod fecerit, per se vel cum Episcopo, de rebus Ecclesiae, permaneat stabile. Dicis ita Episcopo? (Episcope? Pro Episcopo?) Dico, Domne Comes. Praecipite fieri notitiam (cioè, probabilmente, che si pubblichi solennemente al popolo radunato). In nota a questa formola il Muratori dice: Hinc habes quid olim foret Advocatorum munus.... et quomodo eos a Principe postularent Episcopi, ceteraeque Ecclesiae. A noi pare che tutto in questa formola esprima, non una petizione, ma una semplice dichiarazione; e ne rimettiamo il giudizio al lettore. A ogni modo qui non si vede alcun intervento effettivo del popolo.
  2. Car. M. Capitulare II anni 809, cap. 11; Baluz. T. I, pag. 472.
  3. Pare bensì nova la facoltà espressamente data ai messi reali, di deporre scabini; almeno non si trova, come crediamo, e abbiamo già detto, in alcun atto legislativo di Carlomagno, nè (cosa che sarebbe più notabile, anzi singolare) d’alcun re suo antecessore.