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appendice al capitolo terzo | 153 |
che, a prima vista, può parer più naturale e che, per quanto sappiamo, è accettata generalmente, o almeno non è stata messa in dubbio da nessuno, è che le nomine degli scabini, attribuite in questo caso ai messi reali, fossero sottoposte a uno scrutinio generale di tutti gli uomini liberi (di quale o di quali razze, qui non importa) delle diverse circoscrizioni del territorio. Ecco ora i motivi che ci fanno dubitar fortemente della verità di quest’interpretazione, e parer molto più verisimile un’altra affatto diversa.
Ciò che può dar più lume in una tale ricerca sono certamente gli altri atti legislativi che riguardino la stessa materia: sono anzi i soli che possano dar qualche lume, se, come crediamo, non ci sono documenti d’altro genere relativi al punto speciale dell’elezione degli scabini. Ora, nella legislazione francica, e nella franco‑longobardica (le leggi longobardiche anteriori, come s’è accennato un’altra volta, non parlano mai di scabini) c’è, se non c’inganniamo, un solo capitolo diverso da quello in questione, nel quale, a proposito dell’elezione degli scabini sia fatta menzione del popolo; ma in diversa maniera, e a proposito anche d’altre elezioni. Ed è il seguente di Carlomagno: Ut judices, Vicedomini, Praepositi, Advocati, Centenarii, Scabinei, boni et veraces et mansueti, cum Comite et populo eligantur et constituantur ad sua ministeria exercenda 1. Quale è qui la parte del popolo? S’ha egli a intendere che le parole: cum populo significhino una cooperazione effettiva, richiedano un consenso formale del popolo medesimo? Non pare, se si riflette, alla qualità della più parte di quelle cariche. Per restringerci a una sola, giacchè crediamo che possa bastare, gli Avvocati de’ quali parla questo capitolo di Carlomagno, e altri capitoli e leggi di lui e de’ suoi figli e nipoti, erano patrocinatori e rappresentanti de’ vescovi e delle chiese, nominati per lo più dai vescovi medesimi, o da altri prelati. Ora, non si saprebbe vedere il perchè tali nomine dovessero essere approvate formalmente e confermate dal popolo. Ma la cosa diventa piana, se s’intende che le parole: cum comite et populo indicavano la presenza dell’uno e dell’altro, cioè che le nomine e degli Avvocati e degli scabini e di tutte quell’altre cariche dovessero, da chi toccava, esser fatte e promulgate in un placito tenuto dal conte; o con la presenza del conte, se il placito era presieduto da un messo reale. I placiti si tenevano in pubblico, e gli uomini liberi dovevano qualche volta e potevano sempre esserci presenti: quella forma solenne d’elezioni era quindi un mezzo di farle conoscere a tutti, come sarebbe ora il pubblicarlo con le stampe. E che l’interpretazione proposta da noi delle parole: cum comite et populo non sia arbitraria, si vede da una legge di Carlomagno medesimo, relativa ai soli Avvocati, nella quale, in vece di cum, è detto appunto: in praesentia. «Vogliamo che gli Avvocati siano eletti alla presenza de’ conti, e che non siano persone di cattiva riputazione, ma quali la legge li richiede 2.» Un’altra di Lotario I, sullo stesso argomento, e fatta probabilmente per essere allora poco osservata quella del grand’uomo morto, dice il medesimo in un’altra forma: «Vogliamo che i vescovi eleggano i loro Avvocati col conte 3.» In queste due leggi il popolo non è neppur nominato; la qual cosa non vuol però dire che fosso escluso, e che una formalità così importante si trovasse alterata così gravemente con una semplice omissione. L’intento principale e diretto di