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appendice al capitolo terzo 141

E forse anche al lettore parrà più verisimile che un copista abbia fatto d’una coda e d’un capo che si toccavano, un corpo solo, di quello che il legislatore abbia emanata una legge nova per ridire ciò che aveva già detto in due leggi separate, e separate, con ragione 1.

Se ora ci si domanda perchè abbiamo fatti tutti questi ragionamenti sopra un documento, dell’autenticità del quale credevamo d’aver tanta ragione di dubitare, risponderemo che, per ciò che riguarda la questione presente, era come se fosse autentico. Sono di quelle cose nelle quali un copista, levando, aggiungendo, mutando, riman fedele all’originale, perchè si trova nelle medesime circostanze dell’autore. Quell’aggiunta: ad civitatem suam poteva esser suggerita tanto a un legislatore quanto a un amplificatore dalla relazione particolare che c’era tra il giudice e la città. Perciò, in vece di ricusar quel testimonio, abbiamo creduto che convenisse cercar d’intenderlo, confrontandolo con altri testimoni, la veracità dei quali non è dubbia per nessuno.

Sarebbe più che superfluo l’interrogarne degli altri ancora; ma ce ne troviamo, per dir così, tra’ piedi uno, da non poterlo scansare. Per una combinazione curiosa, l’altra legge di Rachi ritrovata nel codice Cavense (e questa certamente nova) par fatta apposta per avvertirci di non pensare a Italiani, quando nelle leggi longobardiche troviamo nominati de’ giudici, e anche con quel benedetto suo. «Vogliamo e ordiniamo che ogni arimanno il quale sia chiamato a cavalcare col suo giudice, porti con sè scudo e lancia; e il medesimo, se verrà con lui a palazzo. E questo, perchè non sa cosa gli possa sopravvenire, nè che ordine sia per ricevere, o da noi, o nel luogo dove si radunerà la cavalcata 2.» Che presso i Longobardi, il giudice fosse, nel suo distretto, il capo della milizia insieme e della giustizia, è cosa nota e non controversa. E non abbiamo citata questa legge affine di confermarla, ma perchè la mette, per dir così, in atto. Se si vuole che nella legge antecedente il judicem suum indichi rispettivamente anche un giudice italiano, bisogna vedere in que-

    alterius agere aut causare praesumserit in praesentia Regis aut Judicis (excepto si Rex aut Judex ei licentiam dederit, de viduis aut orphanis, aut de tali homine qui causam suam agere non potest), componat guidrigild suum, medium Regi, et medium contra quem causavit. Et si forsan aliquis per simplicitatem suam causam agere nescit, veniat ad placitum. Et si Rex aut Judex providerit quod veritas sit, tunc debeat ei dare hominem qui causam ipsius agat. Nam si Judex contra hoc consenserit, exceptis in his Capitulis, et non emendavit, componat guidrigild suum in Palatio Regis. — I due codici modenesi, citati dal Muratori, ad h. l., in vece di: ad placitum, hanno: ad Palatium Rer. It. t. I, Part. II, pag. 87. Lezione più probabile, giacchè sarebbe, credo, la sola volta che nelle leggi longobardiche anteriori alla conquista di Carlomagno fosse nominato il placito: e l’occasioni non sarebbero mancate, se il placito fosse stato in uso.

  1. Un altro motivo di dubitar fortemente dell’originalità della lezione Cavense, è l’esserci ripetuta tante volte la stessa cosa, a un di presso ne’ medesimi termini. Non credo che in tutte le leggi longobardiche si troverebbe un altro esempio d’una così strana battologia. E tralasciando altre osservazioni, anche quel saltare una volta dal singolare al plurale, e così a sproposito (debeant ire ad judicem suum, et nunciare causam suam ad ipsos judices suos), non pare che possa esser altro che una storpiatura di copisti.
  2. Haec itaque volumus et statuimus, et unusquisque Arimannus, quando cum judice suo caballicaverit unusquisque per semetipsum debeat portare scutum et lanceam, et sic post illum caballicare. Et si ad palatium cum judice suum veniat, similiter faciat. Hoc autem ideo volumus quia incertus est qui ei superveniat, aut qualem mandatum suscipiat, de nos aud de terre istius ubi oporteat haberi caballicago... Rachis Lex XI. Ibid. — Nel tradurre l’ultima frase siamo andati a tasto. Caballicago significava probabilmente, secondo l’occorrenza, e un corpo di cavalieri e tutto un esercito e una spedizione militare; come, in diversi luoghi e in diversi tempi del medio evo, le voci: Caballicatio, Caballicata, Cavalcata, Chevalchia, Equitatio, Equitatus, Hostis; delle quali si veda il Ducange: e non son qui tutte. Poteva anche significare l’obbligo d’andare all’esercito, come alcune delle voci suddette. Cavalcata s’usava ancora nel Trecento, per significare scorreria, o spedizione, come si vede in alcuni esempi citati dalla Crusca.