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capitolo secondo 111

sero; e sarebbe troppo strano che, per conservar le buone usanze dei barbari del medio evo, non dovessimo poter nominare gli antichi abitatori dell’Italia che con un nome comune a quelli di tant’altre parti d’Europa. Ma quest’usanza medesima è la conseguenza e, per dir così, l’espressione d’un fatto, e del fatto concludente per la questione. Longobardi e Italiani erano, in un senso, due nazioni ugualmente; ma una formava un corpo politico; l’altra no. E quindi l’essere i Longobardi diventati Italiani, importerebbe la distruzione del solo corpo politico che ci fosse nella parte d’Italia posseduta da loro; vorrebbe dire una società composta solamente di sudditi, cioè, come s’è detto qui da principio e come t’era detto in un caso simile, un fatto contradittorio, impossibile.

Proporrebbe bensì un’ipotesi, non dico fondata, ma intelligibile, chi dicesse invece, che gl’Italiani eran diventati Longobardi, e che in questa maniera le due nazioni formavano un popol solo. Che delle materie inorganiche, assorbite e assimilate da un corpo organizzato, partecipino della sua vita, e formino con esso un tutto, è una cosa che s’intende. E dobbiam noi credere che questo sia il senso sottinteso dell’altra proposizione, «formavano uno stesso corpo civile, una stessa repubblica?;» cioè che la nazione in cui questo non c’era, fu ammessa, o a poco a poco, o tutt’in una volta, a far parte di quella in cui c’era? O vuol dire che l’una e l’altra, per delle cagioni, con de’ mezzi, in una maniera qualunque, s’unirono a costituire in comune un nuovo corpo civile, una nuova repubblica? o che un’altra forza qualunque volle e potè procurare alla nazion conquistata, imporre alla conquistatrice, una tal comunione? Può voler dire ognuna di queste cose, che equivale a non dirne nessuna. Ed è naturale: l’autore di quella frase, uomo tutt’altro che ignaro de’ fatti materiali dell’epoca longobardica, non avrebbe potuto pensare a qualsiasi di queste ipotesi, senza veder subito che non aveva il più piccolo fondamento nella storia. E tanto era lontano dall’aver su questo punto un’idea distinta, che nella Dissertazion medesima, e poco prima, aveva detto che, regnando Autari, «gl’Italiani e i Longobardi, cominciavano già ad essere come nazionali della stessa patria 1:» dove pare che non pensasse punto a quel formare uno stesso corpo civile, una stessa repubblica: effetto, per il quale si richiedono atti positivi, ma che pensasse, come gli altri, a un effetto che dovesse venir naturalmente da un più lungo convivere nello stesso paese. Quel che è certo è che e lui e gli altri vollero la cosa, non si curaron del modo; senza accorgersi (e per qualcheduno di loro il fatto è strano) che, senza il modo, la cosa non c’era.

L’abate Dubos, il quale pure volle che, in quel medesimo periodo, i Gallo-romani e i Franchi formassero un popolo solo (e, in verità, c’era un po’ più, non dirò di ragioni, ma d’attaccagnoli) fece almeno un sistema 2; sentì almeno, che una proposizione di quella sorte richiedeva d’esser discussa e, prima di tutto, definita. Due nazioni, una antica abitatrice delle Gallie, l’altra stabilita in un territorio confinante, e vissuto in istato di pace e spesso d’alleanza, per lo spazio di due Secoli 3; poi questa, ammessa, come ausiliaria, nelle Gallie 4 dall’imperatore, che n’era l’assoluto padrone 5; poi quella passata, prima per delegazione 6, quindi per intera e definitiva cessione 7, sotto il dominio de’ re, non meno assoluti 8, dell’altra; due nazioni, per conseguenza, uguali tra di loro,

  1. Antich. longobardico milanesi; diss. 1, § 66.
  2. Histoire critique de l’établissement de la monarchie françoise dans les Gaules; Paris, 1734. 3 vol. in-4.
  3. Liv. I, chap. 17.
  4. Liv. II, chap. 15.
  5. Liv. I, chap. 4.
  6. Liv. V, chap. l.
  7. Ibid., chap. 10.
  8. Liv. VI, chap. 16.