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giore, amore, dolore ecc., è sempre da riputarsi barbarismo.

Ma in ogni lingua sono sempre due i dialetti, l’uno il plebeo; l’altro il letterario, l’illustre. Il primo non lascia memoria di se, che nella tradizione vocale, ne’ libri dei giureconsulti, ne’ scrittori comici, i primi per necessità, i secondi per satira. Perciò troviamo praestibus bunda; tuus pater bellissimus ecc.; giacchè la plebe romana non parlava come scrissero Cicerone, Orazio, Virgilio ecc., ma un dialetto suo proprio, per cui elidevasi quasi sempre la M e la S, come si può osservare in Plauto, ne’ giureconsulti, e fin nello stesso Lucrezio, che pure ha fama di colto scrittore, e nei frammenti di Lucilio. Questa osservazione si può fare anche nel dialetto lombardo, in cui si dice bell per bello, fam per fame, giust per giusto.

Si perde adunque il vero significato di molte voci nella lingua come è parlata dal popolo. Ma quando le invasioni di Barbari seppelliscono le belle arti, e invadano le biblioteche, la lingua de’ letterati si perde anch’essa; onde non rimane di se che il volgare dialetto, pure guasto dalla modificazione dei secoli, che passano dal barbarismo alla coltura. Ecco


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