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LIBRO PRIMO 63

terra, e mozzagli, siccome a vittima, il capo. L’esercito imperiale accolse il vincitore con grida di gioia, ma i Persiani vie più irritati dal tristo evento metton fuori un secondo campione de’ più ardimentosi, e di taglia eccedente la comune misura: non però, a simile del suo antecessore, nel primo vigor degli anni, e qualche bianco crine facevane testimonianza. Eccolo dunque avvicinarsi all’esercito romano, e squassando lo staffile gastigator del cavallo domandare se tal vi sia pronto a combatter seco. Immobili gli altri tutti e silenziosi, torna in campo Andrea nulla curante il divieto avutone da Ermogene. Segnalaronsi entrambi nell’adoperare coraggiosamente le armi loro, i colpi delle quali con grande fracasso andavano ad investire gli usberghi. Nella zuffa però i destrieri, urtatisi con impeto violentissimo di fronte, caddero a terra seco trascinando i combattenti. Il Persiano volle tosto rizzarsi, ma non consentendovi la voluminosa mole del corpo ed il peso delle armi 1, fu vinto da Andrea, più snello

  1. Le armi tanto offensive quanto difensive usate anticamente dai Persiani erano: l’acinace, corta spada alla foggia di quelle, secondo Giuseppe Flavio, solite adoperarsi dai sicarii (Antich. giud., lib. xx; V. inoltre Diodoro, lib. xvii; Esichio; Suida, ec.). La copide, altra specie di spada che pendeva loro dalla destra (Plut., Vite di Alessandro e di Aristide), ed il cui ferire, a detta di Polibio, provenendo da alto in basso recava danno maggiore di quello fatto dalle comuni spade; così poi è definita da Q. Curzio: Copides vocant gladios leviter curvatos, falcibus similes, queis amputabant belluarum manus (lib. viii). La sagari, arma pur questa foggiata a guisa di spada (V. Senofonte, Anabasi, lib. iv;