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LIBRO SECONDO 401

sissime esequie, molto onorifica sepoltura; mandò quindi scrivendo a Belisario l’avvenuto e nell’aspettazione di lui stettesi ferma.

IV. Come prima il capitano ebbe la triste nuova n’andò frettoloso al sepolcro e piansene amaramente il fato, ora compassionando il rinchiusovi, ed ora lagnandosi col proprio destino che avesselo privo d’uomo si grande; ne ornò quindi la tomba e di molte cose, ed ancora d’un’annua entrata1: volle in fine che si lasciasse impunito Uliare, al qual uopo la truppa rendeva testimonianza de’ preghi fatti dal moriente Giovanni acciocchè fossegli al tutto perdonato, essendo quel suo uscir di vita opera del caso e non di premeditato intendimento.

V. Ora Gilimero traendo profitto dall’indugio evitò colla fuga lo scontro de’ Romani. Se non che Belisario seguendone le peste giunse presso d’una munita città, Ipporegio, in vicinanza del mare e soli dieci giorni di cammino lontana da Cartagine, dove riseppe il nemico sul monte Papua, luogo di malagevole accesso pe’ Romani, essendo negli ultimi confini della Numidia, molto scosceso, di pericolosissima salita in causa delle altissime pietre che ne ingombrano dappertutto il passo, ed abitato dai barbari Maurusii amici e confederati di Gilimero. Alia sua cima poi eravi Medeo, città, dove appunto in allora il barbaro dimorava con tutto il suo codazzo.

  1. Acciò più volentieri quelli della chiesa pregassero Dio per l’anima sua, v’aggiunge lo spoletino Egio.
Procopio, tom. I. 26