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circa il tempo medesimo. Infierendo in Costantinopoli tal pestilenza che mieteva una moltitudine di abitanti, come rammentammo ne’ libri antecedenti, venne ad ammalarsi l’imperador Giustiniano sì gravemente, che s’era perfino detto che fosse morto. Di questa morte la fama giunse all’esercito, dove alcuni dei prefetti incominciarono a dire che se si permettesse al popolo di Costantinopoli di proclamare un Imperadore, essi sarebbero stati obbligati a rimanersi perpetuamente ne’ campi. Poco dopo l’Imperadore incominciò a ristabilirsi in salute; ed allora i capitani dell’esercito si misero a denunciarsi l’un l’altro di quella diceria; e Pietro, e Giovanni Elluone sostenevano per autori della medesima Belisario, e Buze. Teodora credendo di quella diceria essere stata essa l’oggetto, montò in tanta ira, che subitamente ordinò che tutti si recassero a Costantinopoli; ed ivi fatta perquisizione degli autori, improvvisamente chiamò Buze nel gineceo, come se ragionar volesse con lui di qualche gravissimo affare. Era nella reggia un carcere sotterraneo e sicurissimo, a cui scendevasi per lunghi andirivieni; e sarebbesi detto simile al Tartaro. In questo, in cui tenevansi incatenati quelli, che a lei erano odiosi, fu strascinato Buze, uomo consolare; e lungo tempo in tale sentina restò sepolto, senza che di lui si sapesse novella. Imperciocchè niun segno apparendo là dentro nè di dì, nè di notte, sprofondato in quelle tenebre nè poteva egli dire, nè altri poteva sapere che cosa fosse di lui; e quegli, che ogni giorno gli buttava il pasto come fassi a fiera, per comando dovea tenersi muto. Credeasi già che Buze fosse morto;