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superstizione, a crudeltà, ad avidità, chiama virtù, travolgendo gli atti di Giustiniano, ove la grossa sua coscienza gli grida non potersi difendere quali la Storia li narra. Egli si contenta di confessare che Giustiniano potè forse al più avere qualche lieve difetto, qualche neo, come uomo, facendosi bello di una giusta osservazione, che leggesi in Zonara a proposito dell’Imperadore Comneno, quasi tra questo e Giustiniano potesse farsi un paragone.

Nel leggere questa massa di sragionamenti più di una volta m’è venuto il dubbio, se l’Eiscelio sotto l’apparenza di difendere il nome e la condotta di Giustiniano non intendesse di vieppiù farne sentire l’orribil carattere. Ma sarebbe stato in lui durezza poco civile anche questa. Più di una volta ancora ho sospesa la penna, domandando a me stesso, se meritava l’Eiscelio che tanto mi occupassi di lui. Se non che ho dovuto considerare, che col mio volgarizzamento dando una grande pubblicità alia Storia segreta di Procopio, era mio debito purgare e l’opera, e l’Autore dalle fallaci imputazioni di un erudito, che potrebbe col suo nome sorprendere la buona fede di parecchi facili a preferire l’autorità alla ragione. Non occorre poi che mi fermi a parlare del Rivio, che in quella declamazione sua a difesa di Giustiniano ha mostrato piuttosto cosa sia il