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legislazione; ma un diritto volubile ed erroneo; e le bilance della giustizia declinavano alla parte, in cui maggior quantità d’oro fosse posta; e questo ben numerato dal palazzo recavasi nel foro, premio o del giudice o del legislatore, per la cura che prendevasi nel governo della città. I referendarii non contentavansi più di presentare all’Imperadore le suppliche, e secondo l’uso riferire ai magistrati solamente quanto rispetto alle suppliche egli avesse decretato; ma bensì scrivevano il loro parere. Ed anche avveniva ch’eglino pescate dappertutto ingiuste ragioni ingannassero l’Imperadore, di sua natura fatto per essere ingannato: poscia usciti ai litiganti, senza dare indizio di quanto con lui avessero fatto, traevano da quelli, niun giudice intervenuto, il denaro su cui aveano contato. I pretoriani stessi, stanzianti in Corte, assalivano i giudici; e violentemente strappavano da essi le sentenze. Così niun ordine era nelle cose; e tutto andava per torte vie secondo l’arbitrio: gli officii pubblici erano stravisati, nè conservavano neppure intatti i loro nomi. La repubblica era fatta regina di lascivi ragazzi. Ma, come da principio mi proposi, lascio di parlare delle altre cose.

Ben dirò che quegli, il quale a rendere sì venali i giudizii spinse pel primo l’Imperadore, fu certo Leone, di nazione cilice, uomo d’ingorda avarizia, ed esempio singolare di svergognatissima adulazione, fatto apposta per impadronirsi dell’animo e della mente delle persone imperite, e massimamente delle prevenzioni di questo tiranno, della cui fatuità facevasi appoggio a ruina de’ sudditi. Costui, dissi, fu il primo ad insegnare a