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DELL’ASINO D’ORO 387

E fummi assai di minor spavento,
     Chè la mia donna, perch’io non temessi,
     33Avea nell’entrar quivi il lume spento.
E questo fu cagion, ch’io non vedessi,
     D’onde si fosse quel fischiar venuto,
     36O chi aperto nell’entrar ci avessi.
Così tra quelle bestie sconosciuto
     Mi ritrovai in un ampio cortile,
     39Tutto smarrito senza esser veduto.
E la mia donna bella, alta, e gentile
     Per ispazio d’un’ora, o più, attese
     42Le bestie a rassettar nel loro ovile.
Poi tutta lieta per la man mi prese,
     Ed in una sua camera menommi,
     45Dove un gran fuoco di sua mano accese;
Col qual cortesemente rasciugommi
     Quell’acqua, che mi avea tutto bagnato,
     48Quando il fossato passar bisognommi.
Poscia ch’io fui rasciutto, e riposato
     Alquanto dall’affanno, e dispiacere,
     51Che quella notte m’avea travagliato;
Incominciai: Madonna, il mio tacere
     Nasce, non già perch’io non sappia a punto
     54Quanto ben fatto m’hai, quanto piacere.
Io era al termin di mia vita giunto
     Per luogo oscuro, tenebroso, e cieco,
     57Quando fui dalla notte sopraggiunto.
Tu mi menasti, per salvarmi, teco:
     Dunque la vita da te riconosco,
     60E ciò che intorno a quella porto meco.
Ma la memoria dell’oscuro bosco
     Col tuo bel volto m’han fatto star cheto,
     63Nel quale ogni mio ben veggo, e conosco,