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DELL’ASINO D’ORO 383

Ma quale stella m’avria mostro il porto?
     E dove gito misero, sarei?
     66O chi m’avrebbe al mio sentiere scorto?
Stavano dubbi tutti i pensier miei,
     S’io doveva aspettar, che a me venisse,
     69O reverente farmi incontro a lei.
Tanto che innanzi dal tronco i partisse,
     Sopraggiunse ella, e con un modo astuto,
     72E sogghignando: buona sera, disse.
E fu tanto domestico il saluto,
     Con tanta grazia, con quanta avria fatto,
     75Se mille volte m’avesse veduto.
Io mi rassicurai tutto a quello atto;
     E tanto più chiamandomi per nome
     78Nel salutar che fece il primo tratto.
E di poi, sogghignando, disse: or come,
     Dimmi, sei tu cascato in queste valle
     81Da nullo abitator colta, nè dome?
Le guancie mie, ch’erano smorte, e gialle,
     Mutar colore, e diventar di fuoco,
     84E tacendo mi strinsi nelle spalle.
Arei voluto dir: mio senno poco,
     Vano sperare, e vana openione
     87M’han fatto ruinare in questo loco;
Ma non potei formar questo sermone
     In nessun modo: cotanta vergogna
     90Di me mi prese, e tal compassione!
Ed ella sorridendo: Eh! non bisogna
     Tu tema di parlar tra questi ceppi;
     93Ma parla, e dì quel che ’l tuo core agogna.
Chè, benchè in questi solitarj greppi
     I’ guidi questa mandra, e’ son più mesi
     96Che tutto il corso di tua vita seppi.