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402 | testi |
Non piange ei no; stupisce sol che cresca
La materia a’ suoi mali,
E dopo tante morti ancor sia vivo:
Del suo cor redivivo
80Odia i risarcimenti; e sì molesta
Fecondità di duolo invan detesta.
Ronchi, deh tu che fuor del vulgo ignaro
Con generose piante
Stampi le vie di Pindo al ciel vicine,
85Di sacra fronda incoronato il crine
A l’ebano sonante
Marita il plettro, e qui cantiamo al paro.
Tinte di tosco amaro
Le livide pupille Invidia rote,
90Che nostre glorie affascinar non puote.
E se Fortuna rea ch’a l’opre belle
Sempre crudel s’oppose
Voterà contro noi l’empia faretra,
Sia de l’inerme sen scudo la cetra;
95Forze maravigliose
A un armonico suon dieder le stelle.
Fra l’Ionie procelle
Qual corresse Arion mortal periglio
Ascolta, e di stupor inarca il ciglio.
100Carco d’argento e d’ôr, degna mercede
De le musiche corde,
Mentre lieto ei sen torna al greco lito,
Da’ suoi tesori e da i nocchier tradito
Ne le tempeste ingorde
105Già la morte vicina aver si vede:
Quindi supplice chiede
Tanto spazio al morir ch’almen si doglia,
E ’l canto estremo in insu la cetra ei scioglia.
Con la maestra man scorrendo allora,
110Varia ma dolce via
Temprò d’acuto suon le fila aurate;
E qual fa risonar le rive amate
Di flebile armonia
Bel cigno in sul Meandro anzi che mora,
115Tal ei da l’alta prora
Volto agli Dei del mar sciolse i concenti,
E tacquer l’oude e si fermaro i venti.
Poichè ’l mondo, dicea, più fè non serba,
Ne più giustizia ha ’l cielo,
120Che sicuro il peccar concede a’ rei,
Deh! voi del salso regno umidi Dei
Mova a pietoso zelo
L’empio rigor de la mia sorte acerba.
Dunque troncar in erba
125Dovrà morte sì cruda il viver mio?
Misero in che peccai? Che mal fec’io?
Io nè del sangue altrui la terra aspersi,
Nè gli altari spogliai,
Profano involator de’ sacri fregi:
130Sol con plettro innocente avanti a i regi
Dolce lira temprai,
E degne lodi a le grand’alme offersi;
Sol celebrai co’ versi
D’Amor la face e le saette acute:
135Ma se questo è peccar, qual è virtute?
Numi del mar, cortesi Numi ah! voi
Abbonacciate l’onda,
E mi porgete a sì grand’uopo aita;
Che se vostra mercè rimango in vita,
140Farò su l’erma sponda
Ander più d’un’altar d’odori coi.
Tai far gli accenti suoi;
Qui fermò i plettro, e nel ceruleo smalto
Con intrepido cor balzò d’un salto.
145Ma pietoso delfin, che già l’aspetta
In mezzo a l’acque, il dorso
Volontario suppone a si bel peso;
Nè si veloce mai da l’arco leso
Fugge stral, come il corso
150Lo squamoso destrier per l’acque affretta;
Con la salma diletta
Alle spiagge d’Acaia al fin perviene,
E la depone in su l’amiche arene.
AL MEDESIMO
Che l’età presente è corrotta dall’ozio.
Ronchi, tu forse a piè de l’Aventino
O del Cebo or t’aggiri. Ivi tra l’erbe
Cercando i grandi avanzi e le superbe
Reliquie vai de lo splendor Latino.
5E fra sdegno e pietà, mentre che miri
Ove un tempo s’alzâr templi e teatri
Or armenti muggir, strider aratri,
Dal profondo del cor teco sospiri.
Ma de l’antica Roma incenerite
10Ch’or sian le moli a l’età ria s’ascriva:
Nostra colpa ben è ch’oggi non viva
Chi de l’antica Roma i figli imite.
Ben molt’archi e colonne in più d’un segno
Serban del valor prisco alta memoria,
15Ma non si vede già per propria gloria
Chi d’archi e di colonne ora sia degno.
Italia i tuoi sì generosi spirti
Con dolce inganno ozio e lascivia han spenti:
E non t’avvedi, misera, e non senti
20Che i lauri tuoi degeneraro in mirti?
Perdona a detti miei. Già fur tuoi studi
Durar le membra a la palestra, al salto,
Frenar corsieri e in bellicoso assalto
In curvar archi, impugnar lance e scudi.
25Or consigliata dal cristallo amico
Nutri la chioma e te l’increspi ad arte;
E ne le vesti di grand’ôr consparte
Porti de gli avi il patrimonio antico.
A profumarti il seno Assiria manda
30De la spiaggia Sabea gli odor più fini;
E ricche tele, e prezïosi lini
Per fregiartene il collo intesse Olanda.
Spuman nelle tue mense in tazze aurate
Di Scio pietrosa i peregrini amori;
35E del Falerno insu gli estivi ardori
Doman l’annoso orgoglio onde gelate
A le superbe tue prodighe cene
Mandan pregiati augei Numidia e Fasi;
E fra liquidi odori in aurei vasi
40Fuman le pesche di lontane arene.
Tal non fosti già tu quando vedesti
I consoli aratori in Campidoglio,
E tra’ ruvidi fasci in umil soglio
Seder mirasti i dittatori agresti.
45Ma le rustiche man che dietro il plaustro
Stimolavan pur dianzi i lenti buoi
Fondârti il regno e gli stendardi tuoi
Trïonfando portâr dal Borea a l’Austro.
Or di tante grandezze appena resta