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fine ed onesto intendimento e volto sempre mai alla virtù. Sì fatti sono i modi co' quali governasi l'uomo magnifico nel suo spendere.

Ora io dirò di quelle cose nelle quali egli è usato di spendere; ma prima io farò sue parole per cagione di me, e trattando della Magnificenza parlerò di un'altra appellata Mansuetudine o Affabilità; ma secondo me, meglio noi parlar nostro appellerebbesi Gentilezza; ed è quella con la quale ci facciamo cari, nell'usare insieme, a ciascuno. Di questa virtù un estremo biasimevole è l'Adulazione, che noi volgarmente chiamiamo lusingare, o con vocabolo più fiorentino, piaggiare; ed è quando lodasi a torto ed oltre al vero per guadagnarsi l'animo altrui; e ciò è da biasimare, ed è laido costume per certo. A che fine fai tu menzione di queste cose? Dirovvi: Portando la materia del mio discorso che io dica il pregio di molti, e molto grandi, io non vorrei cadere in sospetto altrui di lusingare per niente; e però affermo, che cotal vizio di piaggiare emmi noto, ma emmi odioso; e però vedendomi lodare uomini come magnifici, non sia chi stimi da me lodarsi, salvo perchè essi il vagliono. Ora in molti modi puossi magnificenza mostrare, ed incominciamo, come è diritto, da quello che appartiene a Dio grandissimo; e ciò sono chiese specialmente, nella quale impresa noi, secondo verità, non abbiamo di che vergognarsi. Ed ove piantossi tempio quale in Roma è sacrato al principe degli Apostoli per comandamento di Giulio secondo pontefice massimo? del quale tempio dirò che a' successori pontefici ed architettori venne meno l'animo di fornirlo se egli non si menomava; e così menometo sbigottisce i riguardatori. Appartiene anco alla magnificenza, nelle spese devote, le esequie ed i sepolcri; e facendo onore alla verità affermeremo, che Ferninado primo de' Medici trapassò molto avanti. Egli in Firenze nella chiesa di s. Lorenzo apprestò sepoltura a' suoi Serenissimi ed a sè, per la quale egli non ebbe per addietro esempio da non potersi imitare. Ancora porgono cagione di magnificenza le nozze; e mi rammento vedere nobili spese fatte in Mantova, a tempo che Vincenzo Gonzaga duce fece marito Francesco suo figliuolo. In quei giorni furono per certo oltre a dieci mila forestieri in quella città, ed i più degni, alloggiati per comandamento del principe con agio non piccolo. Si videro per entro al Micio isole combattute e difese da navi ripiene affatto di fuochi artificiati, li quali nel mezzo delle acque ardeano continuamente; di che furono i popoli sorpresi di maraviglia e diletto fuor di misura. E quanto mettasi in prova questa virtù per l'alloggiamento degli amici stranieri, il manifestò Alfonso secondo d'Este, raccogliendo in Ferrara i Serenissimi arciduchi d'Austria, e per loro diletto facendosi diventare golfi di marina i fossi di quella città. Si videro navigli armati remare in terra, non so se io mi dice con oltraggio o con onore degli elementi. Palazzi nobilmente edificati, e ville si debbono mettere in questo racconto, e ne guadagnarono pregio Ippolito cardinale da Este in Tivoli, ed Alessandro Farnese nel villaggio di Caprarola; ed in si fatte spese manifestasi la virtù, della quale noi trattiamo. Ma il colmo de' suoi pregi si è il dispendio grande nelle imprese grandissime, ed io con ispeciale allegrezza mi conduco a questo passo, perciocchè se ne onora un principe italiano, e per alta sua benignità mio signore; io dico Ferdinando secondo gran duce di Toscana.

Egli pianta nuova città, non invidiando ma pareggiando la gloria di Alessandro di Macedonia; nè si appaga di ergere solamente città, e per tal modo salire sulla cima di questa virtù, ma la fa sorgere dal profondo del mare. Nè vuole consentire che per avanti Venezia sia sola, la quale per tutti i secoli trapassati ha seduto senza compagna. Vedrassi dunque il mare tirreno non meno celebrato che l'Adriatico, e Livorno, già solamente spaventevole, era farassi a' barbari non meno ammirabile. Con maraviglia non minore posso soggiungere atto di questa virtù, il quale non ha bisogno di mie parole essendo ad ogni ora qui in Genova sotto il guardo di voi e de' passeggeri. Ove con più ragione può riversarsi tesoro che là dove si difende la salute de' popoli. In stato del principe, e la gloria delle provincie? Che più di grande può farsi che sbigottire i nemici, risospingere gli assalitori, e disperare l'ardimento degli orgogliosi. E tutto questo non si scorge egli nella mole gradissima delle grandi muraglie, per la quale i monti non ci difendono, ma la magnificenza de' cittadini rende sicurissimi i monti? Questa opera non veggiamo fornirsi, e le generazioni a venire peneranno a credere, in pensando come ella potesse immaginarsi.

Ma perchè io sono qui a discorrere sopra alcun soggetto morale, e non sono qui per formare encomj, io non farò più alcuna parola di cioè: vero è, più tante opere di chiara magnificenza, e tanti illustri personaggi che le hanno fornite, saranno cagione che la nostra età si rammenti per altro che per isciagure. Certamente gli uomini presenti, e coloro i quali verranno appresso, volgendo nell'animo che più di una volta la fame ne molestò, e che la pestilenza ne ha travagliati, e che della guerra sverno pur troppa esperienza, saranno formati da vera pietà; ma rimembrando le azioni gloriose de' nostri giorni, non ci compassioneranno, anzi ci reputeranno felici. Nè pur solamente per quello che io dissi dianzi, ma volgendo nella memoria gl'ingegni di alto sapere ornati, ed eccelsi a maraviglia. Che se cerchiamo oratori si ci offerì un libro la cui lingua ha sì fatta possanza che per udirlo le chiese amplissime immantinente si empiono; un Mascardi il quale, alla sembianza di Demostene, ha, favellando, più di una volta scosse Genova e Roma ed altre famose citta. Se poi ci volgiamo a poesia, è questo secolo fatto chiaro per un Tasso, a cui Apollo consegnò la tromba, ed egli halla ripiena di colui liuto che in Europa