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334 POESIE

     Io già condotto a l’ultima vecchiezza
     Con fama d’uomo giusto
     Apparirò diverso a me medesimo
     Per propria tenerezza?
     Romperò quella legge,
     Ch’io dicea per altrui rompersi a torto,
     Per proprio mio conforto?
     Materia d’altrui detti
     Farò mostrarmi a dito
     Qui, dove da ciascuno
     Stato son reverito?
     Lasso me, cui non lice
     Uscir da le miserie
     Senza essere infelice!
Mon. Ne i propri nostri affari,
     Tirsi, le passioni
     Ci turbano soverchio il cor nel seno;
     E di qui spesso nasce, che ’l più saggio
     Mostra di saper meno, ed al presente
     Per sì fatta ragione
     Teco non tacerò: nessuna via
     Parmi più corta per uscir di questi
     Nojosi pensamenti,
     Che ripregar ben Clori,
     Acciò voglia sposarsi
     Col ritrovato Alcippo;
     Sposa che fia di lui, farà suoi preghi
     Appresso l’altre ninfe,
     Acciò per lor pietate al suo conforto
     Salute non si neghi, in cotal modo
     Di lei favellerassi,
     Che sforzasse la legge,
     E di te tacerassi.
     Ed eccola apparir con Aritea,
     Fa tue preghiere, ed io
     Non sarò teco indarno,
     Quanto fia il poter mio.

SCENA II

Aritea, Clori, Tirsi e Montano.

Arit. Secondo il tuo volere,
     Tirsi, trovai le ninfe,
     E lor feci palese ogni ventura,
     Ch’oggi ti venne incontra,
     Hanno di te pietade,
     E se Clori perdona, elle son pronte
     A conceder perdono al tuo figliuolo,
     Ho brevemente espresso,
     Quanto per me si dee,
     E da lor fu commesso.
Tir. Clori, quel vero amore,
     Che tra me durò sempre, e tra Dameta
     Tuo padre infin ch’ei visse,
     Oggi, si come è degno,
     Vaglia tanto con te, che tu m’ascolti
     Senza disdegno, e certo
     L’error di mio figliuolo
     Era contra la legge, ed era colpa,
     Se pure è colpa amare,
     Contra tutte le ninfe, e se le ninfe
     Per lor bontade, ed anco per pietade
     Di questi anni dolenti, han perdonato,
     E tu dei perdonare,
     Benchè, se si riguarda, il mio figliuolo
     Altro non ebbe in cor, salvo condurre
     A fin un suo desire, ogni altra cura,
     Che potesse turbar gli animi vostri,
     Ei non pensò, nè devi, o Clori,
     Adirarti con lui, perch’ei t’amasse,
     Amor non è dispregio, anzi ei ti pregia,
     Con tanta forza, che ostinatamente
     Senza te fa rifiuto della vita,
     La paterna pietà non lo commove,
     Disprezza i miei sospiri, ed è fermato
     Senza le grazie tue correre a morte,
     Come a fin de’ martirj;
     Onde io movo a pregarti, e le mie voci
     Escono più dal cor, che dalla bocca;
     Clori, sposati seco, o sempre mai
     A me cara e diletta,
     E guardata da me come figliuola,
     Come padre m’accetta, in tua balía
     E che sia fortunata, o sfortunata
     Tutta la vita mia;
     In questi monti, o Clori,
     Esser posso beato,
     Non voler ch’io ci viva
     Esempio di dolori;
     Omai lascia piegarti,
     A te le mani io tendo, ecco io ti prego,
     Ne son solo a pregarti, te ne prega
     Questa chioma canuta, e questo petto
     Tribolato d’affanni, e questo pianto,
     Che disgorga dagli occhi, e questa faccia
     Già smorta divenuta: ah non guastare
     La mia felicità, non far contrasto
     A mie venture, e fa ch’oggi ti provi
     Siccome un chiaro Sole
     A mie giornate oscure.
Clo. O Tirsi, qui venendo
     Mi diceva Aritea,
     Come tu poco dianzi
     Contrastavi a Montano,
     E che la sua clemenza
     A te pareva rea, ed io non veggio
     Il fin de’ tuoi consigli,
     Quando le leggi nostre
     Debbano forza aver contra ciascuno
     Ma non contra’ tuoi figli,
     Se col dolor paterno
     Vuoi scusare le colpe, alcune al mondo
     Non fia mai condannato,
     Perchè ciascun vivente
     Pur d’alcun padre è nato.
Mon. Ciò che disse Aritea, Clori, fu vero,
     Tirsi guardando a’ vostri rischi, e solo
     Pensando a divietare
     L’altrui forte ardimento, e desiando
     Farvi affatto secure, era rivolto
     A tal rigor, che drittamente dirsi
     Poteva crudeltà, la cui durezza,
     Come creder dobbiam, non approvata
     Là suso in ciel, noi la veggiam punita
     In lui con grave affanno, e con la forza
     D’infinita tristezza, e certamente
     Non pur per questo, ma per molti esempi,
     De’ quali il mondo parla,
     Scorgesi, la pietate esser diletta,
     E molto cara a Dio, per conseguenza
     Deon qua giuso gli uomini apprezzarla,