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DEL CHIABRERA 289

E rivelaro lor l’alta novella
Del Messia nato, e palesaro il luogo
Indi per entro un mar d’almi fulgori
In ciclo all’aurea region tornaro:
La pura gente in Betelemme i passi
Rivolse pronta; e ciò, che lor si disse
Esser sermon di verità trovaro.
Or qual di gemme sfavillante scettro
A se trarrammi? e da’ tugurj vostri
Semplice gente svierà miei versi?
Qual fia di Re corona oggi bastante
A far sì, che per lei disperda inchiostri?
Fortunate capanne e lieti ovili,
E cari paschi: in pastoral magione
Oro non splende, e non fiammeggian ostri,
E ricchezze Eritree vengono meno;
È ver, ma quivi non si teme insidia,
per industria di malvagio erede
Con vin famoso non si bee veneno.
Quai miglior piume, che la verde erbetta,
Se in lei si dorme? e che varranno i lini
Per Aracne filati a re possente,
Se ivi entro araldo di battaglia aspetta?
In mezzo de’ trofei vegghia, il famoso,
Che vince l’Asia, e non riman contento,
Ma vuol di nuovi allori ornar le chiome.
All’incontro il Pastor gode riposo,
Sono i popoli suoi picciolo armento,
E prato erboso sue provincie dome:
Ivi candide lane ha per tributo,
Con fresco latte regalarsi impara,
Vezzeggia i figli caramente, ed arde
Pur nell’amor della consorte cara:
Pura turba innocente, il cui desío
Odia gli oltraggi; e della cui bontate
Il Monarca del ciel non prende obblío.
Ecco per opra de’ corrier divini
Vanno al Presepio, e sono in terra i primi
Gli occhi a bear nell’umanato Dio.
Quale di tanto onor grazia si serba
A gente altiera? ah che d’infami esempi
Per ciascuna stagion vaghezza abbonda
Dentro le mura di città superba.
Stefano il sa tra miserabil scempi:
0 te, Giudea, da qual furore inferno,
Da qual tetro demon dirò rapita?
Chi si t’innaspra? chi così t’indura?
Perchè pronte le destre a fare strazio
Dell’alma santa, immacolata e pura?
A che vaneggi? il Correttor superno
Non abbandona nella pena indegna
L’anima d’un fedel senza mercede.
Volga, deh volga in questo specchio i lumi,
Se pur a mie parole altri non crede:
Ecco i macigni, onde s’apriro in fiumi
Le vene elette, che di sangue aspersi
Or fansi cari in sua memoria, e santi:
Ecco volano al cielo incensi e fumi,
E sacre note fanno udirsi intorno;
Nè fronte coronata è sì sublime,
Che non s’inchini a venerarne il giorno;
Ed ei del ciel sulle stellate cime
Trascorre fulgidissimo fra’ lampi
D’ammirabile porpora contesti,
E per la luce degli eterei campi
Guida trionfatore alme infinite,
Invitte al mondo tra martir funesti.
A quest’alma gentil, che tanto onore
Gode nell’alto, s’accompagna un’altra
Non già minore: appostolato ell’ebbe,
Ebbe virginitate; e de’ segreti
Grandi del cielo ella si fa scrittore:
Ma per te, sacratissimo Giovanni,
Entrare in campo, ed appressar mie rote
Alle tue mete, non mi basta il core.
Onde rivolgerommi a quei begli anni
Rubati all’innocenza, che sofferse
L’aspra rapina, e non conobbe i danni.
Qual sul Gange leon, qual tra le selve
Tigre di Scizia, ove digiun l’incenda,
S’avanza in rabbia a pareggiar tiranni
In forse posti dello scettro? Erode,
Condotto forsennando in fier sospetto,
Stendardi dispiegò contra vagiti,
E per fermarsi la corona in fronte,
Le fasce insanguinar prese a diletto,
E funestò le culle a’ Betlemmiti.
Lasso, che fu mirar ne’ petti infermi
Vibrar le spade, e disprezzar le strida,
Le strida, che sembravano ruggiti?
Misere madri! altra non han possanza,
Salvo pietate ricercar pregando:
Ma che giova pregar turba crudele,
E che per forza di real decreto
Convien, che mandi la pietate in bando?
Non pertanto sia modo alle querele,
Nè più traete guai sulle ferite,
Misere madri; anzi vi sia conforto,
Che ogni percossa di sì fatta morte
Ha con seco il gioir di mille vite;
E non faccia sentirsi idra d’Inferno
Contra Silvestro alto pastore, avvegna
Ch’ei fosse possessor d’ampi tesori:
Egli seppe vestir povero manto,
E viver chiaro in Vaticano: ei seppe
Carico fiammeggiar di ricche spoglie,
Nè però meno in ciel girsene santo,
Che la ricchezza le virtù non toglie.
Cotale alberga di Gebenna il lago,
E latra ognor contra il roman tesoro,
Che di quanti tesor si gloria il Gange
L’avaro suo desir non saria pago,
Che Roma abbondi, e che sia forte ci piange;
Ne può soffrir, che la beata Chiesa
Ritolta a povertà d’ostro s’adorni:
Ma s’ei l’avesse in man senza difesa
Non le farebbe altro che oltraggi e scorni.
Dicasi omai, se l’eresia ribolle,
Se Pannonia d’arcieri empie Ottomano,
E la greggia di Cristo al pastor corre,
Che può far ei con disarmata mano?
Tal volta forse ne travolge il sangue;
Ma te per certo non travolve Urbano:
O te ben nato, dal miglior cammino
Non torci i piè: tu la diletta sposa
Delle sue doti sconsolar non sai;
Anzi le serbi, e le difendi Urbino;
E quinci glorioso al ciel ten vai.