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DEL CHIABRERA 281

Sicchè nel campo delle sfere ardenti
Ora abbaglia il fulgor d’ogni aurea stella,
Fatto divin tra le caduche genti:
E temerassi, ove ragion ne chiami
Ceppi e catene, e sofferir tormenti?
Ora oltra andiamo, e trapassiamo il corso,
Che farà quattro volte in gonna bruna
Cimmeria notte, ove le stelle han regno,
E su rote d’argento erra la luna;
Quivi farassi incontra alba serena,
Amica d’Aquilon piedimpennato;
Alba, che liberale all’universo
D’alti conforti, ci rinfresca in mente,
Come il gran rubellante, il gran nemico
All’alma croce si mirò converso.
O di Dio sempiterno, onnipotente
Chiusi giudicj! se n’andava Saulo
Rigonfio di minaccia i fier sembianti,
D’ira avvampante: desïava spento
Per forza indegna de’ Cristiani il nome.
Qual si maneggia intra lanose mandre
Lupo affamato, quando neve alpina
Da’ folti boschi lo discaccia, o come
Nelle piagge del Gange empio leone
Va fra le squadre de’ mugghianti tori
Spargendo d’ogn’intorno alti ruggiti:
Spaventoso cordoglio a’ buon pastori;
Tal se ne giva in ben dorato arcione,
A rapido destrier pungendo i fianchi
L’uomo superbo, e trascorreva il campo;
E mentre imperversando ei più s’affretta
A’ precipizj del tartareo varco
Trovo somma pietate, onde ebbe scampo:
Feglisi incontra il Redentore, ardendo
Fra’ lampi in aria; e col parlar corresse
Gli orribili pensier dell’alma avversa;
Ed egli a’ tuoni di quel dir non resse,
Ma trabocconne abbarbagliato in terra;
Poi di Gamaliele a piè condotto
Battesmo prese; e per tal via divenne
Scelto dottor degl’ingannati ingegni.
Allor che non fece ei? che non sostenne?
Che non pensò? dove non volse il corso?
La Siria passeggiò; vide i Cilici,
Argo trascorse, visitò Corinto,
Ed a quei d’Erecteo porse soccorso.
Che più? per entro il mar varcò veloce;
Lesbo, Samo ed Eubea sparse di luce,
Egina, Delo, Salamina e Rodi
Trasse a pregiar la dispregiata croce.
Ne gli bastò; ma divenire odiose
In Cipro fece dell’Idalio Nume
Quelle usanze amorose; ed indi in Creta,
I tanti onor della Saturnia prole,
Rivolse in nulla, rimanendo scherzo
I Coribanti, e la bugiarda culla.
Al fin mosso d’amor, franchezza invitta,
Affrontò poverel l’alta Tarpea,
Ove schernendo del tiranno acerbo
L’alma infiammata di crudel disdegno
Salute offerse a’ successor d’Enea,
Per la virtù dell’adorato legno.
Con diritta ragion dunque s’onora
Virtù cotanta. Oh giù da ciel discenda
Folgore acuta, che disperda i lauri
Sul rio Parnaso, che di lui non canta.
E chi ne canta, come il Sol risplenda.
Quando la gente a numerar febbrajo
Rivolgerassi, e che i destrieri Eoi
Andran sudando nel secondo aringo
Del freddo mese, fia nel ciel salita
La celebrata aurora aggiornatrice,
Ove col figlio presentossi al tempio
L’alma del Paradiso Imperadrice.
Ne fu tributo, o soddisfare a legge,
Ma fu sovrano d’umiltate esempio.
Ella per tanto al sacerdote offerse
Due tortorelle, a dimostrarsi pura:
Ella, che di candor trapassa i gigli:
Ella, che il Sol, quando è più chiaro, oscura:
Quinci vêr Betelem fece ritorno
Col pargoletto Redentore in braccio,
Poichè con cinque sicli ella il riscosse.
Ma tu, donna divota, in questo giorno
Lascia per tempo le notturne piume,
E nudrisci bel lume in bianca cera:
Movi a tetti sacrati, ed ivi umile
Con le compagne va cantando in schiera:
Alta memoria de’ beati passi,
Che mossi furo in quel grand’atto eccelso
Dalle porte del tempio a’ sacri Altari.
Qual fu drappel, da che girossi il cielo,
Degno cotanto; ed a mortale orecchio
Quali faransi udir nomi si chiari?
Anna la santa a profetare avvezza;
E Simeone il celebrato vecchio;
E la guardia fedel del buon Giuseppe;
Poi la suprema di Maria grandezza,
E seco il nato fanciulletto eterno:
Arrogi l’invisibili falangi
Dell’infinito esercito superno;
Giornata eccelsa. Or quale cor s’invia
Meco giocondo; e d’odorosi incensi
Ben provveduto si dispone a gl’inni
Per celebrare ed adorar Mattia?
Alma dal Cielo al sommo grado eletta,
Onde cadendo inabissossi Giuda;
Alma d’amore ardente, alma benigna,
Quanto colei del traditor fu cruda.
Di questo inclito spirto i sacri onori
Fansi alto risonar, poscia che il Sole
Corre illustrando de’ celesti pesci
I belle squame; e che ne i campi foschi
el ciel notturno si nasconde Arturo;
Onde Borea gonfiando ambe le guance
Orridamente fa crollare i boschi,
Ed in mare il nocchier poco è sicuro.
Ecco dell’anno, che cerchiando vola,
Fa correre i suoi giorni il terzo mese
Marzo appellato: vanitate antica,
E folle error di gravi colpe, oh quanto
L’universo teneano tenebrato!
Al vero Dio, dalle cui mani uscito
Il basso mondo, ed il superno Olimpo
Con tal bellezza tuttavolta ha stato,
Non diè nome: un che inghiottiva i figli:
Un che al padre mostrò l’alma rubella,
Saturno si dicea, diceasi Giove,
E voleasi adorar: folli consigli!
E per lui si nomava e cielo e stella:
Ne men la forza, e l’esecrabil arte,
Onde si corre all’armi, onde si versa