Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/266


del chiabrera 253

180La destra pianta sollevando, allunga
La man diritta, e v’accompagna il fianco:
Scoppia la corda liberando il sasso
Ferocemente, ed ei ne va fremendo,
E fende l’aria, e l’orgoglioso incontra,
185E nel gran spazio della fronte il fere.
Ei di sè tolto impallidisce, e trema,
Al fin trabocca, e la pianura ingombra
Con l’ampio petto: rimbombaro intorno
Per lungo spazio la riviera, e ’l monte,
190Onde i pastor per le lontane piagge
Meravigliando dier l’orecchie al suono.
Ma non indugia il fiondator, che altero
Corre sul vinto, e gli disarma il fianco
Della gran spada, e verso il ciel lucente
195Par con ambe le man l’acciar solleva,
Ed indi i nervi, onde si lega al busto
Quel teschio minaccioso, egli percote,
Doppiando i colpi, e gli recide al fine.
Qual s’Austro irato, e se Aquilone atterra
200Alto cipresso, che le nubi appressa,
L’accorto villanel, perchè si tragga
Comodamente alla cittate, il pârte;
Onde lucida scure in man si reca,
Ed alza ambe le braccia, e giù dal petto
205Tragge gli spirti faticati, e fere,
E spezza al fin la riversata pianta:
Tale affannando le robuste braccia
Il buon David del Filisteo disciolse
L’abbominata, e spaventevol testa.
210Ampio correa dalle troncate canne
Il sangue spento, e dilagava il piano,
Siccome fiume: e da terror commossi
Volsero il tergo i Filistei fuggendo:
Ma il buon David col fiero teschio anciso
215Entro Gerusalem facea ritorno.

II

LA LIBERAZIONE DI S. PIETRO.

     Come in Gerusalem forza celeste
Togliesse Pietro al dispietato Erode
Or canterò: tu su dal ciel mi spira,
Inclita Musa, e le mie voci illustra;
5Posciachè pronto a lusingar gli Ebrei
Jacopo spense, e delle belle vene
Macchiò sua spada il dispietato Erode,
Qual Libico leon, che infra gli armenti
Tingendo l’orrida unghia il cor non placa,
10Ma furor cresce, ei d’altro sangue ingordo,
Pietro serbava a più crudel percossa.
Già dentro orribil carcere rinchiusa
Tenea tra ferri in mezzo d’armi ingiuste
Del giusto vecchiarel l’alma innocenza:
15Ma del suo scampo in su gli eterei regni,
E della sua salute obblío non giunse,
E nell’alta virtù, che in terra nome
Ha Providenza: Ella guardando il risco
Dell’uomo afflitto, al Creator sen corse.
20Tempio è nel ciel sopra le stelle eccelse,
D’oro cosperso, e di zaffiri eterni,
E d’eterni diamanti, onde si spande
Per la Corte stellante un mar di lampi:
Sede fulgida immensa; indi sublime
25Sedendo il sommo Correttor del mondo,
Guarda l’Olimpo, e delle fiamme i campi,
E la sonante regïon de’ nembi,
E l’ampia terra, e l’Oceán fremente
Ed indi irato con la destra avventa
30Onnipotente i fulmini tremendi;
Onde con vasti turbini conturba
I monti e l’onde e le colonne scuote
Dell’universo. Or da sì nobil sede
Il Motor sempiterno delle stelle
35Volgeva l’infallibile pensiero,
E del Giordano e del Sïon a’ lidi:
Quando a’ beati piè l’inclita Donna
Giunse pensosa, ed al Signor s’inchina,
Indi favella: O dell’eterno Impero
40Eterno Re, che con la destra eterna
Tutto sostieni l’universo immenso;
Già tu meco benigno a narrar presa
Futura istoria, e de’ celesti annali
Lungo tenor su’ tuoi Campion sublimi,
45Motto non solei far, che Pietro in terra
Tinger dovesse di Giudea l’arena;
Bensì dicevi tu, che infra rie selci,
Arme d’Inferno, e dentro un mar di sangue
Stefano su nel ciel verria primiero;
50E che altrui secondando il fier Tiranno
Asta feroce vibrerebbe, e spento
Jacopo altrui rallegrerebbe il guardo;
Ma non Gerusalem di Pier superba
Vedria la morte; or come adunque avvinto
55Sta fra catene? e minacciato attende
Là giù l’ultima piaga in man d’Erode?
Ciò paventando di mortale affanno
Stanno i compagni suoi tutti ingombrati,
E tu n’ascolti ognor dal cor profondo
60Fervidi prieghi, e loro scorgi in pianto
Le ciglia, il volto e l’amoroso seno.
Così parlava umíl l’inclita Donna,
A cui rispose il Creator eterno:
Sgombra dal cor la tema; indarno Erode
65Di Pier s’è dato a procurar lo strazio,
Che io ne ’l difendo: ei fra dolori immensi
Fetida carne lascerà le membra,
Pria che l’alma di Pietro a noi ritorni;
E quei gravosi ferri, onde ha costrette
70Le mani e i piè dell’innocente, ancora
Giù nel mondo saran sacra memoria.
Tempo verrà, che in venerabil Tempio
Farassi sopra altar pompa sacrata
Del nobil ferro, e da lontano infermi
75A lui verran per acquistar salute,
Di cotanta virtù son per degnarlo:
Ma Pier disciolto alla Giudea sue note
Farà sentire, e nella Siria al fine
Fermerà sull’Oronte altera sede;
80Indi ei rivolgerà forte le piante
Inverso il Tebro, e quella orribil gente
Ne fia pensosa; e scuoteransi l’alme
Al feroce tonar della sua voce.
I colli eccelsi, e quel cotanto in terra
85Tarpeo superbo, e le dorate mura,
Che degl’idoli il nome han scritto in fronte,
Mal sosterran d’un Pescator l’assalto;
Ma fuggendo il furor d’orribile ira
Aspro Tiranno a lui torrà la vita.
90Ma del vecchio diletto anco la morte
Fia venerata, e dove a morte ei giunse