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238 poesie

Calò per via d’una spelonca oscura
Inverso il centro: ivi trovò palagio
50Tal, che non lo comprende uman pensiero:
D’oro fiammeggian le colonne, d’oro
Sono i gran palchi, il pavimento è d’oro,
E d’oro gli archi e le pareti immense,
Ivi sovra alto e ricco seggio assiso
55Vide Mercurio un giovinetto: il guardo
Avea sereno, e nella bocca un riso
Gli lampeggiava, e la gioconda fronte
Chiara mostrava la letizia interna,
E dava a divederne il bel sembiante,
60Che del rio tempo non l’offende oltraggio;
Cotanto fresca sua beltà fiorisce
Ad ora ad ora: a lui fatto da presso
Il buon Mercurio salutollo, e disse:
Criso, sopra la terra han gran battaglia
65Gli uomini dall’Inopia, orribil mostro;
E Giove vuol che tu gli mova incontro
In modo, che per te sentano aita
Da’ fieri assalti: ei ti ritorna a mente,
Che solo in terra fra’ mortali è l’uomo
70Conoscitor della possanza nostra:
Onde è ragion, che della loro angoscia
S’aggia pietà. Così diceva, e Criso
Dolce rispose: Del gran Giove pronto
Sono i cenni ubbidir, quando ei comanda,
75Però veloce correrò la terra,
Porrò quel mostro in fuga, e farò lieti
Gli uomini lagrimosi. Ei più non disse:
Onde Mercurio ritornossi in alto:
Quale Airon, se da lontan comprende
80Torbida d’Aquilon mover procella,
Spiega le piume, e per l’aereo campo
Soverchia i nembi, e non arresta il corso,
Finchè sotto i suoi piè franco non mira
Le folte nubi; in guisa tal sen riede
85Verso l’Olimpo il messaggier veloce,
E Criso impon, che il suo destrier si freni:
Destrier, che i fianchi e le nervose gambe
Discioglie in velocissima carriera,
E che d’ali possenti il tergo impiuma,
90Sicchè trasvola i larghi fiumi, e sprezza
Dell’irato Oceán l’onde sonanti.
Or sul nobile dorso egli s’adagia,
E le lucide briglie indi governa
Colla sinistra, nella destra ha l’arco,
95Egli pende sul tergo ampia faretra,
Piena di strali folgoranti: strali,
Che domano ogni usbergo, a cui non regge
Ferrata porta: le falangi in terra
Tremano pe’ lor lampi, ed a fuggirne
100In mar son lente le velate antenne.
Sì fatto ei sorse a passeggiar la terra;
E come fuga il Sol le scure nubi
Lunge dagli occhi altrui, tal ei disgombra
Dall’altrui petto l’odiose noje.
105Trafitta da dolor lasciava Inopia
La chiara luce, e s’ascondea degli antri
Dell’alpine foreste, o per gli scogli
Si raccogliea sulle deserte rive.
Quinci giocondo ritornava il mondo,
110E già si celebrava almi Imenei,
Tempravansi le cetre, ed era in danza
Il vago piè delle leggiadre Ninfe:
Sorgeano inverso il ciclo alti palagi;
S’indoravano fonti; aprile eterno
115Facea soggiorno in sulle piagge, e licto
Amor volava saettando intorno,
Or come in tal dolcezza i petti umani
Rimirò Criso, egli benignamente
A sè chiamolli, e così disse: Udite,
120Uomini abitator del basso mondo,
a Omai per le mie man domato è il mostro,
Che si vi afflisse, onde soavemente
Menate i dì della soave vita:
Perchè duri con voi tanta ventura,
125È questo il modo: hassi a sbandir l’oltraggio
Da’ vostri alberghi, e rimembrar mai sempre
Queste bilance, che nel ciel governa
L’alma Giustizia: se fermate in petto
Queste parole, io fermerò miei passi
130Con esso voi; nè lascerò che volga
Senza vostro conforto un solo giorno:
Se le mie voci spargerete al vento,
Ιo da voi fuggirommi, o rimanendo
Con esso voi vi colmerò d’affanno;
135Scuri vedrete i giorni, e senza posa
Vi lasceran le notti, aspre contese
Innanzi a duro tribunal faranno
Strazio di vostra vita, e finalmente
L’orrida Inopia torneravvi innanzi
140Orribilmente. Ei così disse, e tacque.
Or perchè veggio al tuo gentil costume
Esser cara la legge al mondo imposta
Dall’alto Criso, io fermamente spero,
Ch’ei teco, Ambrogio, fermerà suoi passi,
145Nè ti scompagnerà de’ suoi conforti.

XVII

IL VERNO

AL SIGNOR BARDO CORSI

SIGNOR DI CAJAZZO.

     Tempo già fu che dimorava il Verno
Presso un bel fuoco di cipresso allora,
Che via più lunghe rivolgean le notti,
Ed era a vegghia la Pigrizia seco,
5Donna canuta, e che rugosa il volto
Mai di buon grado non suol movere orma:
Ella posando in ampia sede eburna
S’abbandonava, e sulla manca coscia
Adagiava la destra, e sopra il petto
10Incrocicchiava l’ozïose braccia;
Ma perchè gli occhi dall’oscuro Sonno
Lor non fossero chiusi, a parlar prese
Verso l’orrido Verno, e gli dicea
Di bellissima Ninfa, al cui sembiante
15Si allegrava la terra, e venìa chiara
La campagna dell’onde: a questi detti
Sollevava dal sen l’orrida barba
L’ispido Verno, e le chiedea qual fosse
La bellissima Ninfa, e per qual modo
20Ei potesse mirar l’alma sembianza,
E lentamente la Pigrizia disse:
Febo, correndo per gli eterei campi,
Giunto là, dove fra diciotto stelle
Fiammeggia il lucidissimo Ariete,
25Scorse una pargoletta, e si dispose