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del chiabrera 225

Perché di qui se ne migliora il mondo;
55Ma non per tanto io vi fo certi; udite
La voce mia, che al destinato tempo
Verace fia: non dureravvi eterna
La cura imposta; e si vedrà che un giorno
Le rivolte del ciel saran fornite.
60La destra mia, che a suo voler governa,
È per destare incontrastabil foco
Sovra l’immenso volto della terra,
E di quel fiero incendio ai forti lampi
Distruggerassi ogni abitato loco:
65Atterreransi i monti, e senza schermo
Diverran secca polve e valli e campi.
Quinci al sonar di formidabil tromba
La già condotta a morte umana gente
Farassi viva, e per giudicio orrendo
70Salterà fuor della funerea tomba:
E quinci parte nei celesti alberghi
Eternamente raccorrassi, parte
In fiamma, in zolfo nei profondi abissi
Proverà di giustizia orribil’arte
75Sotto l’impero dei demonj. Allora
Mirerassi ogni moto in ciel posarsi:
Così da prima eternamente piacque
All’alto mio consiglio: Ei più non disse,
E lieto volse gli occhi eterni altrove
80Fisso pensando; e non sì tosto ei tacque,
Che gli Angioli dimessi al primo detto
Chinaro il tergo, indi con voglia ardente
Al divino voler diedero effetto.
Quinci non pur dall’Orto in vér l’Occaso
85Fassi il cammin delle stellanti rote,
Ma nell’istesso tempo inegualmente
Volgonsi i cerchi luminosi ancora
Dal Tago al Gange, ed or da presso all’Austro,
E carcollo d’acciar, terribil asta
90Or gli veggiamo avvicinar Boote.
A sì fatto girar, gran meraviglia!
In sè stesso discorde, e sì costante
I figliuoli di Adam volser le ciglia
Volgendo gli anni, ed appellaro a nome
95Quelle alme fiamme, ed a pigliar non lenti
Ne fûr conforto, ed a schifare affanni.
Però non sempre d’Oceán nel grembo
Spande le vele il buon nocchiero a’ venti:
Ed il discinto villanel, che scuote
100L’auree spiche di Cerere, prevede
Se correrà diluvioso nembo:
L’aria infiammando, e d’Anfitrite i campi,
E sulla terra de’ mortali i cori,
I cari imperj suoi tien Citerea;
105Ed ella sparsa di nettarei lampi
La bella fronte, e fra vïole il seno
Velata appena incomparabil move
Di varie gemme circondata i fianchi.
Tal volta chiama dagli Esperj liti
110Le tacite ombre della notte, e porge
Soave requie agli animanti stanchi:
Tal volta il giorno ella precorre, e sorge
Fra le fresche rugiade dell’Aurora,
E sulle piume di nevosi cigni
115Le fosche nubi del mattino indora:
Del ciel possiede il quarto regno, e corre
In fra le vie de’ sei pianeti il Sole
Fonte dell’aurea luce, almo a mirarsi,
Quale mirarsi suol sposato amante,
120Che vêr l’albergo d’Imeneo s’invia,
E rapido sen va, siccome suole
Affrettarsi in cammin forte gigante;
E da lui, che or vicino, ora discosto
Imprime l’orme con viaggio alterno,
125Vien, che diletta di Favonio appare
La di fior coronata Primavera:
Poscia lei, che le spiche avea in governo,
Arida Estate; e pampinoso i crini
Il padre Autunno liberal di mosto;
130Al fin tra ghiacci assiderato il Verno.
Presso il regno Febeo tien suoi confini
Marte, che errando per l’Eteree strade
Dall’acceso Piroo lunge non parte;
Seco le piaghe, e le discordie e l’ire
135Accompagnò la favolosa etade,
E sa se deve il guidator d’armenti
Dai rozzi alberghi allontanare il piede,
Mirabil cura! or con novelli accenti
Racconterò di quegli ingegni eccelsi
140I lunghi studj, ed ornerò le tempie
Con vaghi fior, che in Elicona io scelsi:
Il più vicin, che alla terrestre mole
Lume si volga è della Luna il carro,
Ch’or povera di raggi, ora superba
145Di molta luce i corridor suoi sferza,
Ed orgogliosa si pareggia al Sole.
Sovra quel primo cerchio il cerchio gira
In che Mercurio, ambe le piante alato
Celeste araldo, fiammeggiar si mira
150Oscuramente; indi salendo in alto
Vago spazio di ciel via più beato,
Apresi al guardo di sereni ardori
Piaggia, che di bei rai l’alme ricrea:
Quivi reina de’ celesti amori
155In man gli pose, e gli guerniva il tergo,
E l’ampio petto di diaspro, e d’oro
Lucente, ardente, occhiabbagliante usbergo:
Ma Giove, a cui nel volto arde sereno,
Che gli spiriti altrui desta a gioire,
160Passeggia i campi della sesta sfera;
Saturno è sopra lui, che a passo lento
Forma i vestigi; e pien di rughe il volto
Trema le membra, ed ha di neve il mento.
Cantan di Pindo le piacevol Ninfe,
165Che a lui già fu dei regni il seggio tolto,
Onde vivesse peregrino in terra;
E per quei giorni tribunale odioso
Grave discordia a’ cittadin non erse;
Nè solean trombe insanguinar la guerra,
170Nè piangea madre in sul figliuol sepolto
Per l’aspre piaghe delle spade avverse.
Sì fatti alberghi per li sette erranti
Almi splendor la vecchia età distinse:
Ma sovra lor di quelle terse, e pure
175Schiere di fissi lumi, onde risplende
La scintillante regïon celeste,
Otto, e quaranta immaginò figure,
Di cui la lingua, che a parlarne prende,
È giusto, Urania, che ti chiegga aita.
180Adunque, o Diva, che in cerulea veste
Voli succinta, e tra purpuree rose
Del crespo crin l’oro immortal circondi,
Tempra le corde, ed armonia m’inspira
Atta a cantar le meraviglie ascose:
185Temprale sì, che non le prenda in ira,