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222 poesie

Nelle tue mani ha da recarsi il freno:
Fa dunque sì, che di real corona
60Fama immortal deggia gridarti degno,
Ed altieri desir chiudi nel seno.
In prima Dio sinceramente adora;
Dio, che all’altrui bontà serba corona;
Dio, che disperde l’adoprar degli empi,
65E loro incontra fulminando tuona:
Poscia con larga man, fatto cortese,
Della tua gente le vaghezze adempi;
E sopra ogni tesor gradisci Astrea:
Nè disprezzar, come i villani ingegni
70Han per usanza, l’onorate Ninfe
Del bel Parnaso, compagnia Febea;
Ma ria speranza non ti ponga in mente,
Che, neghittoso riposando in piume,
Goder tu deggia i lor nettarei canti:
75Amano spirto di virtute ardente,
Che de i pensier della viltà s’annoi,
E che tra’ rischi ami di farsi eterno;
E per sì fatta via corser gli Eroi.
Rammenta d’Argo il singolar drappello,
80Nocchier sì chiari: ei non cangiò sembiante
Per lo sembiante d’Oceáno ignoto,
Ma l’orgoglio domò de i nuovi mari,
E del barbaro Fasi in sulla riva
Pose a giogo famoso i fieri tori,
85Dalla cui fronte usciva, aspro a mirarsi,
Etna d’ardori, e con altiero sguardo
Rimirò per incaniti aste lucenti
Crudelmente vibrar falange avversa,
Nati guerrier di seminati denti:
90Al fin mal grado dell’orribil belva,
Che n’era guardia, depredaro l’oro
All’alta selva, indi al paterno lito
Volsero i remi, ove per fama eterna
Ebbero il vanto degli onor supremi.
95Così per calle, ove si traccia onore,
Sudor si spande; ed abborrendo l’ozio,
Alma vien grande. In guisa tal Chirone
Svegliò la gioventù del fier Pelide
Alla virtute, e con nettaree note
100Robusta fea l'infemità degli anni;
E quel giovane cor facea conserva
Degli alti detti, e diveniva amico
Al bel desir degli onorati affanni.
Quinci ei nudriva spirti, onde tempesta
105Sorse di Marte, ed inondò Scamandro
Fatto sanguigno su’ Dardanei campi;
Ed ei con asta ad Ilïone infesta
Fu trionfante dell’Ettorea spada,
Perchè tra’ venti la superba Troja
110Polve divenne, e sua dorata Reggia
Rimase albergo a’ falciator di biada.
Ma tu, che sorgi degli Imperj Toschi,
Eccelsa speme, ed ammirato erede
De i regi alti dell’Arno, i cui vestigi
115Nobilemente imprimi, ed in cui splende
Insieme d’Austria e di Loreno il sangue,
Legnaggi i terra oltra il pensier sublimi,
Non hai mestier d’altro Chiron: tua stanza
Cosparsa d’ôr, l’incomparabil Pitti
120Son per te fatti di Tessaglia l’antro:
A che teco svegliar la rimembranza
Dall’Argo Argiva; e raccontare in Colco
I dati a morte celebrati mostri
Dell’antico Giasone alta possanza?
125Campo maggior di perigliosi mari
Aran tuoi legni, e più dorato vello
Tolgono al Drago i tuoi guerrieri armati,
Rompendo il corso a’ predatori avari.
Sommo trofeo, spezzar ceppi ferrati,
130Onde la gente franca orni gli altari,
Onde le spose rasciugando i pianti
Gridino Ferdinando: onde Livorno
Si faccia noto ad orfanelli infanti,
Che si crescean d’ogni speranza in bando.

VII

LE METEORE

ALLA SERENISSIMA ARCIDUCHESSA

MARIA MADDALENA D’AUSTRIA

GRAN DUCHESSA DI TOSCANA

     Perchè tal volta negli aerei campi
Fuoco s’accenda, e vi trascorra, e come
Di diversi color tinte le nubi
Mostrinsi in alto, ed onde mova il vento,
5Onde le piogge, in su novella cetra
Di raccontar nuovo desire io sento.
Non vulgar canto; e che al tuo cor gentile
Giunga gradito, io non lo spero a torto,
O stella d’Austria, e dell’amabil Arno
10Degna Regina, e del mio Re conforto.
Ma queste ascose, e rare colte intese
Cose dal vulgo, onde averem parole
Da sporle sì, che ne divenga udendo
Dell’Italica gente il cor giocondo?
15Ed onde mai piglio principio? Il Sole
Su rote accese raggirando il mondo,
Tragge dal seno immenso della terra
Vapore in alto, or acquidoso, ed ora
Caldo ed asciutto; e qui rammento altrui,
20Che dal Fabbricator dell’Universo
Si diede all’aria il natural suo luogo:
Sicchè di sotto ave la terra e l’acqua,
E sopra intorno le si volge il fuoco.
Or di quest’aria la volubil massa
25In tre distinte region si pârte:
Una è suprema, e perchè a lei si appressa
Il fuoco ardente, ella mai sempre è calda;
Nè men perchè dal Sole, e dalle stelle
Focosa qualità le si comparte,
30L’altra s’adima, ed al terren s’accosta;
E quando il Sol dirittamente il batte
Ne i mesi ardenti, ella però si accende;
Ma quando poscia la dorata faccia
Egli allontana ne i gelati mesi,
35Vinta da quel rigore ella s’agghiaccia.
L’altra, che in mezzo a queste due riponsi
Discosto dalla terra, unqua non sente
Di suo calore; e pur lontana sempre
Dall’elemento eccelso delle fiamme,
40E più dal Sol, non può venire ardente;
Sicchè ognora di gel son le sue tempre.
In questo campo, e così fatto, ognora
Sue prove fa ciò che la terra spira,
E ciò, che co’ suoi raggi il Sol ne tragge: