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del chiabrera 201

Solennemente all’onorate Stinche.
Un altro vende le paterne case,
50E le ville degli avi, e corre al Tebro,
Nè vede l’ora di vestirsi d’ostro;
Ma torbid’Austro di maligno autunno
Fa che gli tagli Cloto il fil degli anni;
Ed ecco le speranze, onde credea
55Ornar fratelli ed illustrar nepoti,
Se ne vanno alla fossa in un ferétro.

XXIX

AL SIG. FRANCESCO FERRERO.

     Nella trascorsa settimana, allora
Che le gote gonfiava aspro Boote,
Per noi si provvedean contro Rovajo
Accorti schermi; si ponean polite
5Le tavole dappresso a picciol foco,
E si spargean di varj fiori, ed ivi
Di mano in mano si vedea dovizia,
Altra che di sal bianco; in varie guise
Taccio i minuti volatori, e taccio
10Le non minute che fra sterpi ascose
Pernici al bracco fiutator fan scorno,
Ma pure indarno; mille salse e mille
Manicaretti, intingoletti, e tutti
Conditi col saper del nostro Erasto.
15Poteva egli il cappon meglio arrostirsi?
Un color d’oro: ragioniam dell’oglia,
Onde la Spagna è ghiotta; alme vivande,
Vivande per un morbido palato,
E dottrinato in scola d’Epicuro.
20Deggio parlar del vin? vuolsi egli d’oro?
Vuolsi egli di rubin? Tutti eran quivi,
Ciascun soave, e dava morsi e baci,
Almo licor disgombrator di noje,
E fondator della mortal speranza.
25Tal godeasi per noi; quando repente
Da’ sette Colli si spiccò rimbombo
Che tutte folgorò nostre allegrezze:
Ah falce odiosa d’importuna morte,
Chi mai terratti a freno? Anni fioriti
30Di ben robusta età, santi costumi,
Senno assegnato alle stagion canute,
Non ha fatto men ratti i tuoi furori,
Come fiero Austro in un momento abbatte
Mirto splendor della natia sua riva;
35Tal del nostro Gavotti ella divelse
La di virtù sì carca gioventude,
Onde piange Savona in veste negra,
E dovrebbe a ragion rader le chiome.
Dunque s’uom peregrino in questo verno
40Della vita mortal spera, o Ferrero,
Sereno agli occhi suoi non fuggitivo,
Ei ben puossi onorar tra i scimuniti
D’una bella ghirlanda. O folle, o stolto
Nocchier che lascia in terra e scalmi e remi,
45Aver credendo pur mai sempre il vento
Soave in poppa! ei salterà per prora
Imperversando, e chiederà la forza
Ed il sudor delle nervose braccia.
Però godiamo, se ne vien gioconda
50Fortuna in viso, ed apprestiamo il core
A contrastar con lei, s’unqua s’adira.

XXX

AL SIG, PIER MARIA CARMINATI.

     Allor che corre il Sol tra sesta e nona,
Io, seguendo mio stil, faccio ritorno
Al nostro non grandissimo Rïalto,
E quivi sento bucinarsi, e molti
5Far capannole e divulgar novelle
Nominando corrieri. Arde di sdegno
L’empio luteranismo di Sassogna,
E gonfia contro il ciel trombe d’inferno.
Ma d’Austria l’asta imperïal difende,
10Pur come suol, del Vaticano i pregi,
Incoronata d’ogni onor Famiglia.
Io, fatto schivo di pensier funesti,
Rivolgo il tergo, e lungo il mar tranquillo
Verso l’amata Legine m’invio,
15Erma mia stanza: qui risplende il cielo
Come zaffiro, e qui verdeggia l’erba
Come smeraldo, ed ogni fior d’aprile
Liberal d’ogni odor quivi sorride.
Io fatto lieto vagheggiava; ed ecco
20Muovere verso me gente di villa,
Fosca lo sguardo, e rimirando a terra,
Colla man destra percoteansi l’anca.
Oh dissi loro: Onde cotanto affanno?
Coraggio, amici; ed un rispose: Ah guai!
25Pur dianzi l’aspro suon de’ rei tamburi
E lo spavento della peste mise
Nel fondo d’ogni mal queste contrade,
Ed or per fame vegniam manco. Aratri
Miseramente logorati e marre,
30A che più state in nostra mano? E quivi
Trassegli in terra. Alla dolente vista
Cordoglio mi sorprese, e procacciai
Ragionando agli afflitti dar conforto;
Poi mossi ad appiattarmi entro d’un bosco
35Di quercie che fur spiche al secol d’oro.
Quivi in petto volgendo i dì presenti,
Io cantai meco del figliuol d’Isai
L’alte parole. Seco disse il folle:
È nulla del pensar che ci sia Dio;
40Quinci bramaro abbominevol opre
Guasti gli uomini affatto, e sulla terra
Che si volgesse al ben non fu pur uno.
Dall’altissimo campo delle stelle
Dio diede d’occhio, e rimirò s’alcuno
45Aveva senno, e si volgeva al cielo.
Travïossi ciascun dal dritto calle;
Indarno era lor vita, e sulla terra,
Che si volgesse al ben non fu pur uno.
Sì fatte note m’ingombraro il petto
50Di timore agghiacciato, e sulla fronte
Arricciommisi il crin per lo spavento,
Immantenente diventai di smalto.
Tal qui mi vivo, o Carminati, e voi,
Che fate in mezzo alla città di Giano,
55Mercato ampio di Europa, ove trascorre
Ad ora ad or la novelliera fama?
Che dipinge il Borzon, di cui le tele
Trïonfar sanno d’ogni tasca avara,
Tanto son vaghe a vagheggiar? Che detta
60Oggi il Cavalli mio, per cui s’arroge