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200 poesie

Che per forza, o per froda altrui non ruba,
Che di laïdo amor non si riscalda,
Disposta a disprezzar l’arco di Morte;
60E cerviera così, che non s’abbaglia
Per folta nebbia, che le vegna incontro.

XXVII

AL SIG. GIO. BATTISTA FORZANO.

     Quando sorge l’Aurora, e tronca in mezzo
Le soavi rapine degli amanti,
E quando poscia il carrozzier celeste
Ricerca di Nettun nell’auree stalle
5Nettarea biada a ristorar Piroo,
Stanco sotto la sferza, altro non odo,
Salvo oricalchi, e minacciosi Araldi
Forte battendo logorar le cuoja
D’aspri tamburi, e solamente io miro
10Quinci, e quindi increspar nobili piume
De’ gran cimieri, e con stridente lima
Elsi pulir di damaschina lama;
Tiensi ogni cosa a vil, solo s’apprezza
Solfo e salnitro, che da cavi bronzi
15Fulmini in guerra formidabil tuono:
Stagione afflitta! vecchiarelle a schiere
Fanno ognor pissi pissi, ed a man giunte
Già non le stanca un dir di Pater nostri,
Ed ogni donna sa cioccar le labbra
20Divotamente, e cotal santo invoca,
Di cui tra danze non sapeva il nome.
Ma le barbe canute in sulla panca
Siedono a scranna esaminando l’opre
Dell’eccelse corone: alto consiglio
25De i grandi dell’Esperia! Inclito avviso
De’ marescialli! ecco l’Europa appesa
Ad un filo di refe: ah cani, ah lupi
Per loro in oro mesceransi i vini
Più cari a Bacco, e coceransi a foco
30Misurato fagiani, e coturnici,
E si faranno il gorgozzul beato,
Sguazzando a mensa, il villanello intanto
Furar vedrassi i seminati solchi?
Sforzeransi le donne, e fra’ tributi
35Spettacol fia la nobiltà pelata,
Già lampeggiante di ricami e d’ostro?
Per cotal guisa io ben sovente ascolto
Parlamentar; ma non ascolto fiato
Pur d’una bocca, ed affermar che in terra
40Su’ decreti celesti è sparso obblio,
Che scacciata da noi sen vola Astrea
Verso le stelle, e che avarizia spiega
Ampie le reti, e che dall’arco scocca
Pur sempre Amor le sue saette indegne,
45Ed arde i cor d’abbominevol fiamma:
A ciò parlare ogni palagio è muto,
Tacene ogni Rialto; e pur Bellona,
O Forzáno, perciò vibra la spada,
E perciò, della Morte aspra compagna,
50Peste mena la falce, e d’ognintorno
Fa per l’aria volar vedove strida:
Così comanda il Correttor del mondo,
Cui non consente serenar l’aspetto
L’ostinata malizia de’ mortali.
55Ma fia chi dica: Gabrïel Chiabrera
Vestir si vuol la cappa del Bitonto,
E consacrar Parnaso. Ei non rammenta
Che forte impresa è drizzar l’anca ai cani.
Forzán, parla costui come un Catone;
60Non è che por le dita entro a’ vespai;
E però tacerommi. Or tu ritorna
Con lento passo alle dilette scole,
Metti Terenzio in scena, e spargi lume
Allo scuro parlar del Venusino;
65O pur ti reca nelle mani i versi
Ove è descritta la pietà d’Enea;
Versi che fanno vil canto, di cigno
Lungo il Caistro in sul morirsi; versi
Che nell’orecchio altrui scemano il pregio
70Delle vergini figlie d’Acheloo.

XXVIII

AL SIG. NICCOLÒ CUNEO.

     Era nella stagion che tutto adorno
Fa Zefiro vedersi alla sua Clori,
Ed io godeami il mar lungo la riva
Della Legine nostra, ivi sul letto
5Scôrsi bamboleggiare un drappelletto
Da maneggiar, quando che sia, la marra
Per servire a Pomona, e in un Leneo;
Ciascun di loro io chiamerei su Pindo
A nome Menalchetta e Titirillo.
10Erano scalzi, e tutti quanti in zucca,
E con semplice mano ergean d’arena
Cotal città sul margine marino;
Vedeansi i muri cortinati, e fuori
Spingersi i baloardi, e d’ognintorno
15Correre i fossi; pervenuto al colmo
Il forte fanciullesco, alto gridaro
Gli Anfionetti delle nostre ville:
Algieri, Algieri, Algieri, e col rimbombo
Della bocca sparar s’udian bombarde,
20E colle palme percuotendo il petto
Toccavano tamburi. In quel momento
Pur dall’aura sospinto un picciol fiotto
Assaltò la fortezza, e la disperse,
E via la si portò dall’altrui sguardo:
25I ragazzetti riguardando il cielo
Trassero giù dal fianco un Oh ben lunge,
Ripieno di dolente meraviglia:
Ed io sorrisi alquanto; indi chiamai
A segreto consiglio i miei pensieri,
30E favellai dentro del core: O quanti
Non bimbi no, ma pur col pelo in mento
Perdonsi a fabbricar, non sulla sabbia,
Ma nel vôto dell’aria, e fra le nubi?
Cuneo diletto, alcun nudre la vita
35Con latte di dolcissima speranza.
Il mio parente è vecchio e senza prole,
Domane, o l’altro se n’andrà sotterra,
Ed io mi leccherò quel buon retaggio;
Dunque sguazziam. Ciò detto, eccolo in bisca
40A tentar sue venture infra le zare
Col primo Sole al Greco, e sulla sera
Al Porto ed al Piovano, indi la notte
Colle più celebrate di via mozza.
Il buon parente serra gli occhi intanto,
45E lascia allo spedal censi e poderi
Divotamente; ma lo sciocco erede
Rimane brullo, ed alla fine è scorto