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del chiabrera 187

VII

ALCIPPO, AMINTA.

Alcippo.
Certo, non leggermente io ti ravviso,
     Diletto Aminta, così sei cangiato
     3Di domestici panni, e più di viso.
Dipartisti pastor, torni soldato;
     Altro, che cetra, e boschereccia piva
     6La spada, che ti pende al manco lato.
Or come oggi apparisci? e di qual riva?
     Chi tolse ad Arno il tuo soave canto,
     9Che per ciascun sì volentier s’udiva?
Aminta.
Ch’io mi partissi la cagion fu pianto,
     Non potei rimirar queste pianure
     12Morendo Tirsi, che io prezzai cotanto:
Da lunge me n’andai, per far men dure
     L’aspre miserie, e della lunga strada
     15Lungo saria contar le mie venture.
Alcippo.
Ma pur, perchè ritorni Uomo di spada?
     Non pensare al cammin, ben alto è il Sole,
     18Molto ha da gir, prima che in mar sen cada.
Aminta.
Posiamci qui, poichè per te si vuole:
     Io parlerò. Presi ad errare intorno,
     21Perchè il viaggio rallegrar l’uom suole.
Adunque il mio cammin volsi a Livorno,
     Ritrovai quivi un popolo guerriero,
     24Tutto di piume, e di bell’armi adorno.
Era sui navigarsi: ogni nocchiero
     Spalmar facea del Signor nostro i legni,
     27Che assalir l’Orïente avea pensiero.
Io veder vago peregrini regni,
     Entrai con gli altri, il navigar lontano
     30Era appunto il miglior de’ miei disegni.
Alcippo.
Ferocissimo cor: sul mare insano
     Lunge peregrinar? grande ardimento!
     33Me per compagno spereresti in vano.
Su per l’onde non è l’istesso vento,
     Che su per l’aja: che cammin t’avvenne?
     36Incontrasti ventura a tuo talento?
Aminta.
Lieti talor con incrociate antenne
     Quasi volammo sopra il mar: talora
     39Non picciola procella si sostenne.
E pur colà, donde esce fuor l’Aurora,
     Fummo sentiti, e vi lasciammo in pene
     42Il popol rio, che Macometto adora.
Tutte predammo le nemiche arene:
     Ma quanti de’ Cristian sul mar errando
     45Furo tratti per noi d’aspre catene?
Lassi, che schiavi, e della patria in bando
     Mirando darsi a cara libertate,
     48Voce altra non mettean, che Ferdinando,
Ho corso in guisa tal più d’un’estate,
     Veduto ho varie terre, e varia gente,
     51Or mi ritorno a queste spiagge amate.
Ma dimmi tu: come felicemente
     Menate i giorni? ancora vive Alfeo?
     54Che soleva cantar sì dolcemente.
Arde più di Mirtilla Alfesibeo?
     Che fa Dameta, che fra noi pastori
     57Era quasi un antico Melibeo?
Alcippo.
Son vivi: ed altri in dilettosi amori
     Consuma, ed altri di suo ben pensose
     60Del campo attende agli utili lavori.
Aminta, il viver nostro è dilettoso:
     Quel Ferdinando, che i nemici infesta,
     63Anco a’ popoli suoi serba il riposo.
Arida fame qui non ci molesta:
     Giustizia regna: è l’abitar sicuro,
     66Come nelle città, per la foresta.
Così fosser con noi, come già furo
     Le cortesie del nostro caro Tirsi:
     69Ma tacerò, che il rimembrarne è duro.
Aminta.
Alcippo addio, tempo è da dipartirsi.


SERMONI


I

AL SIG. GIUSEPPE ORZALESI.

     Giuseppe, allor che le giornate io meno
Nel picciol cerchio di Savona, io sorgo
Fuor delle piume, quando sorge il Sole
Fuori dell’onde; e dove più verdeggia
5Erma pendice, io me ne vo solingo:
Se forse in quell’orrore udissi il canto
Di Melpomene bella, e di Talia.
Care figlie di Giove; allor non cerco
Quale è più dolce delle nostre viti,
10O delle strane la vendemmia; e sprezzo
Neve, che vegna ad onorar le coppe,
Ove Bacco riversa i suoi tesori.
Il vulgo, che mi mira andar col guardo
Rivolto a terra, e colle labbra mute,
15Ride, che io mi dimagro: io non per tanto
Rido de’ risi popolari: ha forse
Testa la plebe, ove si chiuda in vece
Di senno, altro che nebbia? o forma voce,
Che sia più saggia, che un bebù d’armento?
20Lodo ben io, che le vaghezze umane
Aggian misura, e di qui spesso io torno
Della bella Firenze agli alti alberghi,
E qui depongo i pensier gravi, e svio
Me dal Parnaso, e quei diletti colgo,
25Per cui su Pindo a risalir sia forte.
Rimiro del Bronzin finti sembianti
Far scorno a i veri: odo celeste voce
Di Francesca bear gli spirti in terra;
Scorgo le Tempe; e nel mirabil Pitti
30Il giardin dell’Esperidi; talmente,
Giuseppe, di mia vita il corso alterno:
Non mai stancarsi in procacciar diletti
È vivendo morir, ma d’altra parte
Viver la vita è viver con conforto.