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168 poesie

Per l’aride erbe rivo onda non volve,
     E dall’asciutto cor l’arsa cicada,
     Sotto l’arso seren sparso di polve,
     Con rochi gridi, ognor chiede rugiada.
20Che cada omai, che cada
     Su queste tazze il gielo:
     Sia Mongibello il cielo,
     Purchè con fresca man Bacco m’asperga.

XIX

I sospir tanti confortar non ponno
     Mio cor, che si distempra,
     Come a forza di fiamma arido zolfo
     Moviti, Clori, e tempra
     5Un bicchier ampio di gentil Gandolfo,
     Clori, che fia? Non ha letizia seco;
     Non mi scema il martir, non mi ricrea.
     Temprane un di buon Corso, un di buon Greco,
     Ed un d’amabilissima Verdea.
     10Lasso mio duol più si commove, e bolle:
     O sconsigliato avviso:
     Ma se fra quattro nappi, ond’io son molle,
     Un non ce n’ha di riso,
     Bacco, temprami il quinto, e sia di sonno.

XX

Tosto che per le vene erra ondeggiando
     Dalle bell’uve il sangue,
     Mio cor, che per sè langue,
     Ringiovenisce ed ama;
     5Ne meno Euterpe chiama
     Ad arpeggiar cantando.
     Ed or di quel, che si Firenze estima,
     Versai, ben largo, ad irrigare il petto,
     Tal che dal lieto cor se n’esce in rima
     10Per le labbra gioconde ogni mio detto.
     Filli, con aurea cetra oggi t’aspetto:
     Deh vieni ad udir, come
     Lodar so delle chiome
     Il singolar tesoro,
     15E gli occhi, ond’io mi moro
     Mirando, e desïando.

XXI

Se tuoi begli occhi vaghi,
     Filli, han da celebrarsi,
     Miei labbri orridi ed arsi
     Tua bianca man d’almo licore appaghi.
     5Qui dove spargon ombra e viti ed olmi,
     Ove più col ruscel Zefiro fischia,
     Reca tre vasi inghirlandati, e colmi
     Del vin, che onora Pausilippo ed Ischia.
E se ti cal, che vaghi
     10Per l’Eliconie cime
     Il suon delle mie rime,
     Sieno i bei vasi pelaghetti e laghi.

XXII

Tutti gl’indugi a bere omai fian mozzi,
     Febbrajo gelidissimo de’ mesi,
     Non senza gran ragion, caro Orzalesi,
     Par che gli Alari, ed i Bicchieri accozzi:
     5Il focolar già splende; or io consiglio
     Manometter di Fiesole il vermiglio,
     Fiesole cara, al mio diletto Strozzi.

XXIII

Cogli vïola, o gelsomino, o croco,
     E Rosa condannata a viver poco.
Di sì bella ghirlanda,
     Clori, fa l’oro delle chiome adorno;
     5E lin, che tesse Olanda,
     Cingine crespo al puro collo intorno;
Poi colla mano, onde la neve ha scorno,
     Colma la tazza oggi, che l’aria è foco.

XXIV

Vadano a volo i canti: anima pura
     Sempre è sicura.
Amici, ecco d’argento
     Ben lucidi bicchieri:
     5Beviamo, e diansi al vento
     I torbidi pensieri:
Voi vel sapete: la stagion futura
     A tutti è scura.

XXV

Qual saggia frenesia
     Da Bacco or si disvia?
Sono io sentito?
     Oggi mal reggerassi uom, che non beve:
     Su, su venga Falerno, e venga neve.
     Io tutti invito.
Beviam, che non è ria
     Una gentil follia.

XXVI

Sorga nuova Medusa,
     E coll’orror de’ formidabil crini
     Trasformi i petti avari in sassi alpini.
     E come? oro ed argento,
     E null’altro quaggiù può far contento?
Zefiro, che veloce,
     Battendo le bell’ali, i rami move,
     Dice con bassa voce,
     Filli, che tosto hassi da gire altrove.
Dunque tre volte, o nove
     Vo’ con Falerno rinfrescarmi il petto:
     Se tre, conforto dalle Grazie aspetto;
     E se nove, ogni Musa
     Del così largo ber farà la scusa.

XXVII

Se per orgoglio di beltà sospira
     Amatore in amar non molto accorto,
     Spera piangendo ritrovar conforto,
     E di flebili corde arma la lira:
     Sciocchezza! col buon vin cangia la donna:
     Bevi gagliardo, fin che il ciglio assonna,
     Geri qual volta Amor teco si adira.