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del chiabrera 159


LXI

I Guerrier sacri, a cui lodar le voci
     Qui ricerchiam più celebrate, e conte,
     Gravi il petto d’acciar, gravi la fronte
     4Ornaro il manto di purpuree Croci.
E quasi piuma di falcon veloci
     Corsero in armi all’usurpato Oronte,
     E fûr devoti di Sïon al monte
     8In guerreggiar, quasi leon feroci:
Commossi dall’ardor d’intrepid’ire,
     Sponendo a morte l’invincibil core,
     11Fransero i ferri, ed il furor degli empi:
Or se ad ognora il singolare ardire
     Con alti gridi incoroniam d’onore,
     14Con quale onor n’abbandoniam gli esempi?

LXII

Forse aspettiam, che le Caucasee cime
     Lascino per pietà gli orridi Sciti,
     E contra l’armi d’Ottomano arditi
     4Rompano il giogo, onde Sïon s’opprime?
Ah! che la Croce riportar sublime
     Dobbiam pur noi di Palestina ai liti,
     Cui nel chiaro dell’aria appena usciti
     8Sacrosanta nel petto ella s’imprime:
Carmelo, Ebron, di Bettelem le mura
     Gridano ognor: Gerusalem cattiva
     11Ambe le palme lagrimevol tende:
E calpestata da ria gente impura
     Del celeste Giordan l’inclita riva
     14I nostri spirti alla bell’opra accende.

LXIII

Che largo sangue, o che sì gran sudori
     Possono in riva del Giordan versarsi,
     Che il sofferto martir debba uguagliarsi
     4Al pregio altier degli apprestati onori?
Oh di che palme, oh di che verdi allori
     Vedran la fronte i vincitori ornarsi!
     E quanti, oh quanti sovra lor cosparsi
     8Fien per amiche man nembi di fiori!
I cari nomi infino al cielo andranno
     Fra lieti canti, e le natie contrade
     11Rimbomberan del celebrato affanno.
L’aste, gli scudi, e le sanguigne spade,
     E gli stessi cimier si serberanno
     14Per maraviglia alla futura etade.

LXIV

Non sia guerrier, che del sacrato acciaro
     Per temenza di morte il sen disarmi,
     Quando a terra cader fra sì bell’armi
     4È quaggiù trïonfar del tempo avaro:
Per lui superbi s’ergeran di Paro
     Sovr’ampia base, e scolpiransi i marmi,
     Ove auree note d’ammirabil carmi
     8A’ secoli futuri il faran chiaro.
I vecchi infermi additeran quei pregi,
     Ma gli aspri cor della robusta etate
     11Sospirando n’andran l’alta memoria;
Ed ei nel ciel coi trïonfanti egregi
     Fiammeggiando di piaghe alme e beate
     14S’illustrerà di via più nobil gloria,

LXV

Chi funestò, non ammirata appieno
     Opra giammai, di Gabaon la valle,
     Di selci empiendo all’ampie nubi il seno
     4Per tempestarne agli Amorrei le spalle?
E chi nel corso, che giammai non falle,
     Strinse del Sole a’ gran destrieri il freno,
     Che spargean forti per l’etereo calle
     8Di focosi nitriti il ciel sereno?
Non fu del sommo Dio l’alta possanza,
     Che oltre il Giordano al peregrino Ebreo
     11Diè con invitta man palme supreme?
Riguardi in sua pietà nostra speranza,
     E fia l’empio Ottoman l’empio Amorreo,
     14Noi d’Abraam, noi d’Israelle il seme.

LXVI

Vide Israel, che del Giordano al fiume,
     Gran meraviglia, fu frenato il corso;
     E ch’ei restò, come al dettar del morso,
     4Nobil destriero ha di restar costume:
Vide, che tromba, e che fulgor di lume
     Porse al buon Gedeone alto soccorso,
     Quando il rio Madïan volgendo il dorso
     8Sbigottito a fuggir mise le piume.
Alla destra di Dio non è contesa:
     Egli solleva allo splendor celeste,
     11Egli deprime alla bassezza estrema:
Che sia giojosa, o sia dolente impresa,
     Vien da suo cenno: o coronate teste,
     14Chi per Dio sorge, di cader non tema.

LXVII

Poichè il fervido suon de’ miei lamenti
     Hanno d’Europa i cavalieri a scherno,
     E quasi nebbia sollevata il verno
     4Portanlo attorno, e ne fan giuoco i venti:
Musa, che sacra fra le stelle ardenti
     Spargi d’alta letizia il ciel superno,
     Sgombra tu col valor del canto eterno,
     8Deh sgombra il gel dell’indurate menti.
Veggano i re, cui della Croce il segno
     Sacrasi in fronte; e nella sorte infesta
     11Per lei son osi ad impetrar conforto:
Veggano se mirar senza disdegno
     Il superbo Ottoman, che la calpesta,
     14Sia quasi dir, ch’ella s’adori a torto.

LXVIII

CONFORTA I POPOLI ITALIANI

Allo studio della guerra.

Quando a’ suoi gioghi Italia alma traea
     Barbare torme di pallor dipinte,
     E regie braccia di gran ferri avvinte
     4Scorgeasi a piè la trïonfal Tarpea:
Non pendean pompa dell’Idalia Dea,
     Sul fianco de’ guerrier le spade cinte,
     Ma d’atro sangue ribagnate e tinte
     8Vibrarle in campo ciascun’alma ardea.
Infra ghiacci, infra turbini, infra fuochi
     Spingeano su’ destrier l’aste ferrate,
     11Intenti il mondo a ricoprir d’orrore:
E noi tra danze in giuochi,
     Neghittosi miriam nostra viltate
     14Esser trionfo dell’altrui furore.