Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/170


del chiabrera 157


XLVII

AL MEDESIMO.

Infante gli elmi, e de’ cimier le piume
     Filippo ebbe per giuoco, e i fuochi sparsi
     Dal cavo bronzo; e sul mattin svegliarsi
     4Alla paterna tromba ebbe in costume.
Or qual foresta, o qual di Scizia fiume
     Non temerallo, ove lo senta armarsi?
     O qual fia verso lui tardo a piegarsi
     8Re, che per l’India più pugnar presume?
Certo se d’Elle al varco inclita gloria
     Giammai l’invita, l’usurpato impero
     11Godrà nel sangue del Tiranno estinto:
Or noi, Febo, a tentar l’alta vittoria
     Sproniamo il corso del real pensiero
     14Gli Avi cantando, onde Ottoman fu vinto.

XLVIII

PER LO RITRATTO

DI FRANCESCO GONZAGA

PRINCIPE DI MANTOVA.

Come or cinga leggiadro al fianco altero
     Questo novello Eroe ferri lucenti
     Il Pittor mostra, e come i lumi ardenti
     4Volga alle piume del real cimiero:
Ma come in armi infaticabil fiero
     Farà d’infido sangue ampj torrenti,
     E fra gran stragi di gran Duci spenti
     8Del gran nemico abbatterà l’impero,
Febo dirà, quando fra Tracii regi
     Vedrallo intento ai celebrati onori,
     11Scettro occupando agli Avi suoi ritolto:
E s’orneran degli ammirati pregi
     Non men le carte allor, che oggi i colori
     14Veggansi ornar dell’ammirabil volto.

XLIX

Dalla razza de’ cavalli Mantovani prende cagione di lusingare Francesco Gonzaga Principe di Mantova.


Questa, che del bel Mincio illustra i liti,
     Greggia di Marte ebbe l’Eroe sul dorso,
     Che già porse ad Italia alto soccorso
     4Contra Francesi a depredarla arditi;
E fra squadre d’estinti e di feriti
     Mosse veloce sotto nobil morso,
     Ed al re vinto interrompendo il corso,
     8Fin nell’alto del ciel sparse i nitriti.
Ma se dell’armi sacre unqua l’impero
     Dassi a Francesco, ed a Bizanzio ei sproni
     11Per vendicarla del martír sofferto,
Ratta fia come vento in suo sentiero,
     Al nitrir forte, come ciel che tuoni,
     14Vigor crescendo del Signor col merto.

L

PER IL MEDESIMO SOGGETTO.

I destrier che del Mincio in sull’arena
     Albergo fan, così Boote ammira,
     Che per eccelso carro ei gli desira,
     4Quando fra l’umid’onde in giro il mena.
Con lor Piroo, che il Sol sferza ed affrena,
     In perder di beltà forte s’adira,
     E la volubil fama alto sospira,
     8Che ne’ rapidi aringhi ha minor lena.
Ma tra le sponde della nobil Terra
     Serbagli Marte, e co’ suoi spirti ardenti
     11Gli rende invitti ne’ guerrieri affanni:
Perchè a Francesco sian ministri in guerra,
     Quand’egli a scampo dell’afflitte genti,
     14Andrà per l’Asia a calpestar Tiranni.

LI

CONFORTA I PRINCIPI CRISTIANI A MUOVER L’ARMI
CONTRO I TURCHI.

Calcasi ognor da rie vestigia immonde
     Gerusalemme, e scellerate genti
     Sïon alberga, e da Pagani armenti
     4Turbansi del Giordan le nobil’onde:
Del gran Tabor sulle sacrate sponde
     Son fatti abitator lupi e serpenti,
     E d’Ottomano agl’idolatri accenti
     8Per forza ogni antro di Giudea risponde.
Di vero Altar non è rimasa pietra;
     O di miracol rimembranza, o Croce,
     11Che senza largo prezzo ivi s’adori:
Però d’atro cipresso orno la cetra
     Oscuramente, e in lamentevol voce
     14All’arme io chiamo, ed a pietate i cori.

LII

I gran destrier, che tra le schiere armate
     Urtar doveano, ed annitrir spumosi,
     Snervate in ozio, o per gli dì festosi
     4Or a fren gli tenete, or gli spronate;
E con morbida man briglie dorate
     Ite volgendo su gli arcion pomposi,
     Ed esperti a vibrar guardi amorosi,
     8Date battaglia alle bellezze amate.
Ma sian di ragni le corazze albergo,
     E su gli elmi d’acciâr la luce viva,
     11Delle gemme e dell’ôr polve deprede:
Che ambe le braccia rilegate al tergo,
     Vuole Ottoman dell’Ellesponto in riva
     14Per cotanta virtù darvi mercede.