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del chiabrera 99



     Oltre il Gange superbo, onde l’Aurora
     Esce col Sol dal luminoso albergo.
25Già non molti sul Tago armati legni
     Predaro Arabia, soggiogaro i Persi,
     Lasciaro in pianto, ed in dolor sommersi
     Sïam, Malacca, e di Narsinga i regni.
Ma dove da lontan men vado errando
     30Per entro l’India? Or non mirò l’Egeo
     L’orgoglio d’Ottoman farsi trofeo
     All’invitta Virtù di Ferdinando?
Ned ei spogliò di piante alpestri monti,
     L’onde ingombrando di spalmate travi;
     35Cadde al folgoreggiar di poche navi
     L’immenso ardir delle nemiche fronti.
Entro l’insegne dell’Eroe Tirreno,
     Nuova Medusa, s’offeriva agli empi;
     Ed oggi, spinto da’ paterni esempi,
     40Cosmo gli colma di terror non meno.
Grande in sull’apparir, non come fiato
     D’Austro, che fischia, indi per via s’avanza,
     Precorre coll’oprar l’altrui speranza,
     E tuona fier per l’Orïente armato.
45A conforto di noi sul tempo oscuro,
     Che all’Italia cosparge ombre ed orrori,
     Di Lucifero in lui sono i fulgori,
     Che nel gran Genitor d’Espero fûro.
E tu sei seco, o tra’ feroci stuoli,
     50Già sul Danubio alle famose imprese,
     Gran Maestro di Marte, in far palese,
     Come l’Uom forte al cieco obblío s’involi.

XXVI

DUCA DI MANTOVA1

Da’ travagli nascer talor felicità.

Spesso del Sol la pura luce ed alma
     Nuvola adombra, ed è spumante il mare;
     Spesso all’incontra il Sol fulgido appare,
     E l’orgoglio del mar s’acqueta in calma.
5Così nel Mondo ora benigni, or empi
     Mostra sembianti, e la fortuna alterna;
     Ma quando i chiari spirti aspra governa,
     Crescono allor d’alta virtute esempi.
Quando sull’arco più crudele e rea
     10Saetta pose, e più s’armò di sdegno,
     Che quando a’ fieri colpi ella fe’ segno
     La gran pietà del sì cantato Enea?
Scorse Priamo tronco; e posto in forse
     Il Genitor di miserabil morte;
     15Tolta dal Mondo la fedel consorte,
     Ed in fiamma ed ardor la patria scorse.
E pur l’acerbo duol sì nol trafisse,
     Che di viltate ei si volgesse all’arte;
     Ma slegando da riva ancore e sarte
     20Verso le fiamme d’Ilïone ei disse:
Dardanj campi, eccelse torri, e mura
     Degl’Iliaci Regi albergo altero,
     Fatte per Marte insidïoso e fiero
     Magion di belve solitaria e scura,
25Mal si contese; e dell’Ettorea mano
     Van fu lo schermo a’ nostri casi avversi;
     Ed io quest’alma alle percosse offersi,
     Ed al fier Larisseo m’opposi invano.
Così nell’alto già fermossi; or movo
     30Per immenso oceán fra turbe Argive,
     Cercando armato sull’Ausonie rive
     A’ scacciati Nepoti imperio novo.
Forse fia, che a mia man giusto favore
     Del Ciel s’aggiunga, onde immortal memoria
     35Sparga per miei trofei lampi di gloria
     Su quest’oscuro, che n’ingombra, orrore.
Sì disse: e sciolse dalle patrie arene.
     Poscia del Tebro in sulla nobil terra
     Duci creò, che fulminando in guerra
     40Strinsero a duro giogo Argo, e Micene.

XXVII

AL SIG. D. ANGELO GRILLO2

Invitalo ch’ei venga a Firenze.

Suoi canti in mezzo a noi fama diffonde,
     E vo’ sperar, ch’ella non canti indarno,
     Che di Venezia abbandonando l’onde,
     Tu venga a riposarti in riva all’Arno.
5O lieto appien se apparirà quel giorno!
     Angelo movi, questo ciel t’invita;
     Movi ch’incomparabile soggiorno
     Consola incomparabile partita.
Perderai seggio d’ogni pregio degno,
     10Altro n’acquisterai non men pregiato;
     Ed anco il Sol lascia di stelle un segno,
     Ed ad altro sen vien non men stellato.
Queste gioconde a’ Cigni aure Tirrene
     A nuove note sveglieran tua mente,
     15E non dirai di finzïon terrene
     Sciocca vaghezza dell’ignobil gente.
Lasso me! non adombro il mio fallire;
     Su Pindo io bevvi già torbide l’acque;
     Tu le bevesti pure, alto desire
     20Quinci di nobil canto in cor ti nacque3.
E però ci dirai l’empia speranza
     Delle rie turbe in Sennaar disperse;
     O pur, grand’opra d’immortal possanza,
     L’onda Eritrea, che Faraon sommerse.
25Già ne’ tuoi versi traboccar destrieri,
     E veggio rote sparse, odo chi geme;
     Sentonsi vili squadre, e duci alteri,
     E mi sgomenta l’Oceán, che freme.
A sì bel canto gioïran le rive
     30Non pur di Flora, ma le cime alpine;
     E faran cerchio sacre Ninfe e Dive
     Di rose eterne, ed orneranti il crine.

  1. Regnò dal 1612 al 1626. Fu principe debole e senza talento. Qui forse si allude alla guerra che gli mosse il Duca di Savoja pel Monferrato.
  2. Nobile genovese e Benedettino. Fu uno de’ più distinti letterati del suo secolo. Tasso e Guarini in prima; Marini, Chiabrera e gli altri insigni cultori della bella letteratura, tennero ad onore il coltivare l’amicizia di lui. Egli institui in Roma la famosa Accademia letteraria degli Umoristi.
  3. Compose molte poesie sacre di vario metro, che furono stampate dal 1591 al 1612.