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222 ODISSEA

80Quindi la sacra schiera dei validi argivi guerrieri
su l’ossa vostre estrusse un grande magnifico avello,
sovra una balza sporgente nei flutti de l’ampio Ellesponto,
che ben visibile fosse da lungi, dai gorghi del mare,
a quelli ch’ora vivono, a quelli che un giorno vivranno.
85E la sua madre ottenne dai Numi bellissimi doni,
li offrí, contesi premi di gara, agli Achivi piú forti.
Certo, di molti eroi ti trovasti alle funebri feste,
quando, venuto a morte qualcun dei sovrani, i garzoni
cingon le fasce, si chiudon ne l’arme, si apprestano a lotta.
90Ma molto piú stupito tu avresti, se quelle vedevi
che ad onorarti indiceva bellissime gare, la Dea
Teti dal pie’ d’argento. E molto eri caro ai Celesti.
Cosí, neppur morendo, la fama perdesti; ma sempre
chiara, oh Achille, sarà la tua gloria fra tutte le genti.
95Ma quale gioia io m’ebbi, quando ebbi finita la guerra?
Giove, quando io tornai, mi prescrisse una fine funesta
sotto le man’ della mia maledetta consorte, e d’Egisto».
     Queste parole, dunque, andavan mutando l’un l’altro.
E presso a loro fu l’Argicida che l’anime guida,
100che l’alme conduceva dei Proci trafitti da Ulisse.
Come le videro, a loro, stupiti, si fecero innanzi.
E d’Agamènnone l’alma, del figlio d’Atrèo, riconobbe
l’inclito Anfimedonte, diletto figliuol di Melanio,
che la sua casa gli aveva ne l’isola d’Itaca offerta.
105E de l’Atride l’alma per prima parlò, cosí disse:
«Anfimedonte, qual danno vi spinge pei tramiti oscuri
tutti scelti cosí, tutti giovani? Niun, se dovesse
della città raccogliere il fiore, farebbe altra scelta.
Sopra navigli, forse, Posidone morte vi diede,