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176 ODISSEA

     320E gli rispose queste parole Penelope scaltra:
«Possibil non è già tra il popolo aver buona fama,
quando si oltraggia, quando si vorano, Eurímaco, i beni
d’un valoroso eroe. Questa altra vergogna temete?
Questo straniero è grande, di valide membra robusto,
325buona è sua stirpe, dice, figliuolo è di nobile padre.
Dategli dunque l’arco lucente, e si tenti la prova.
Ch’io questa cosa adesso vi dico, ed avrà compimento.
S’egli saprà curvarlo, se Febo gli dà questa gloria,
bei panni io gli darò da coprirsi, una tunica e un manto,
330e acuto un giavellotto, degli uomini a schermo e dei cani,
e dei calzari, a riparo dei piedi, e una spada a due tagli,
e lo farò condurre là dove sua brama lo spinge».
     E a lei queste parole rivolse Telemaco scaltro:
«O madre mia, negare quest’arco, conceder quest’arco,
335niuno n’ha piú di me diritto fra gli uomini achivi,
nè quelli ch’àn dimora in Itaca alpestre, né quelli
ch’abitan l’isole, presso dell’Elide equestre alla terra.
Niuno di questi potrà contendermi a forza ch’io l’arco
allo straniero doni, magari che via se lo porti.
340Or tu nelle tue stanze rientra, e ai lavori tuoi bada,
bada al telaio ed alla conocchia; e le donne di casa
spingi al lavoro; e lascia che gli uomini pensino all’arco:
ad essi spetta e a me soprattutto che son qui padrone».
     Alle sue stanze cosí di nuovo tornò la regina,
345poiché del figlio udí, stupita, le savie parole:
e nelle stanze eccelse tornata che fu con le ancelle.
Ulisse ivi, lo sposo diletto, piangea, sin che Atena
glauca pupilla, su gli occhi sopore soave le infuse.
Il curvo arco frattanto portava il fedele porcaro;