Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/216


libro ottavo 201

Sciogliendo un canto, di cui sino al cielo
Salse in que’ dì la fama. Era l’antica95
Tenzon d’Ulisse, e del Peliade Achille,
Quando di acerbi detti ad un solenne
Convito sacro si feriro entrambi.
Il Re de’ prodi Agamennòn gioía
Tacitamente in sè, visti a contesa100
Venire i primi degli Achéi: chè questo
Della caduta d’Ilio era il segnale.
Tanto da Febo nella sacra Pito,
Varcato appena della soglia il marmo,
Predirsi allora udì, che di que’ mali,105
Che sovra i Teucri, per voler di Giove,
Rovesciarsi doveano, e su gli Achivi,
Si cominciava a dispiegar la tela.
     A tai memorie il Laerziade, preso
L’ampio ad ambe le man purpureo manto,110
Sel trasse in testa, e il nobil volto ascose,
Vergognando, che lagrime i Feaci
Vederserlo stillar sotto le ciglia.
Tacque il cantor divino; ed ei, rasciutte
Le guancie in fretta, dalla testa il manto115
Si tolse, e, dato a una ritonda coppa
Di piglio, libò ai Numi. I Feacesi,
Cui gioja erano i carmi, a ripigliarli