Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) II.djvu/40




Il poeta stava componendo, per gl’isolani di Ceo, un peana in onore di Apollo Delio, quando gli fu richiesto un epinicio in onore del suo compatriota Erodoto. L’amor di patria la vince su ogni altra cosa, e Pindaro abbandona l’antico lavoro, che del resto riprenderà súbito poi, e si accinge al nuovo (v. 1-10).

La cervice dell’Istmo, cioè le gare istmiche — concessero ultimamente sei vittorie alla gente di Cadmo, alla terra in cui nacque Eracle che fece fuggire sgomenti i cani di Gerione (10-15).

E qui, contro il suo solito, Pindaro non si lascia trascinare dal mito, anzi, appena accennatolo, ritorna all’argomento, alla vittoria di Erodoto che guidò il carro da sé. Vuole esaltarlo nell’inno di Castore e di Iolao. L’inno di Castore, era l’epinicio. Ma Pindaro aggiunge a Castore Iolao, perché questi era tebano, e d’altronde non meno abile di Castore a guidar carri (15-21).

Cimenti e vittorie di Castore e di Iolao (22-37).

Ritorno ad Erodoto e al suo padre Asopodoro, che, caduto da lauta in povera sorte, trovò finalmente rifugio e serenità in una sua terra d’Orcomeno (38-47).

Se alcuno adopera bene, gli si conceda premio. Ogni uomo, a seconda della sua condizione, aspira a varia ricom-