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È scritta per un trionfatore d’Imera, verso il 470; probabilmente dopo che, sconfitto da Ierone il cattivo signore Trasideo, Imera aveva recuperata grazie al magnanimo vincitore, libertà e indipendenza.

L’Ergotele qui celebrato, non era però nativo d’Imera, bensí di Cnosso, in Creta, donde era stato scacciato in una lotta civile; e Pindaro dice che fu felice evento, perché Ergotele ne ebbe il primo impulso a cimentarsi negli agoni.

Oltre a questa, Ergotele riportò altre cinque vittorie; e Pausania vide la sua statua ad Olimpia.

L’ode è brevissima e chiarissima. Per la solita personificazione, i responsi (v. 9) vengono immaginati occhiuti, e quindi possono essere anche ciechi. Piú strano è il vigore dei piedi paragonato ad una pianta: sí che può gittare le frondi (v. 13 sg.): e súbito poi diventa un gallo da zuffe, che non può mettere in mostra la sua valentia finché riman serrato in casa.