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Nel giornalismo politico avviene lo stesso che nella musica: si riduce tutto a questione d’orecchio.

Leggete, per esempio, il resoconto di una seduta in qualche giornale ministeriale; e poi andate a rileggerlo nelle colonne d’un foglio dell’opposizione. Sentirete che il tema è lo stesso: ma quanti cambiamenti di tono, quanti smorzi, quante variazioni, quante puntature e quanta diversità di cadenze!

Figuratevi d’essere alla Camera. Ha la parola un avversario del Ministero.

Durante il «discorso antiministeriale» qualche deputato alza la mano per mandar via un’importunissima mosca, incaponita a volergli misurare a passi geometrici la lunghezza del naso. Quell’alzata di mano un po’ vivace e concitata, è presa subito a volo da qualche rendicontista d’un giornale ministeriale, il quale apre subito una parentesi, e scrive: — «mani per aria e vivissimi segni d’impazienza sopra molti banchi della Camera».

Intanto il «discorso contro il Ministero» continua, e va per le lunghe: anche troppo per le lunghe.

Allora si sente una voce dalla tribuna pubblica che grida: — Bene! Bravo! — (è la voce del domestico dell’oratore, il quale vuol far capire al suo padrone che l’ora comincia a farsi tarda, e che il risotto patisce).

Il presidente dà un’occhiataccia in su, ma i rendicontisti dell’opposizione, cogliendo a frullo