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lasciato esporre il fatto mio, brontolò digrignando denti:

— Può darsi che lei non abbia torto, ma io sono obbligato, per legge, ad aver sempre ragione: dunque arrivedella! —

E io, per dir la verità, me ne venni via impaurito: tanto più che l’Orso quella mattina aveva tutta l’aria di non aver fatto ancora colazione.

Accadde intanto che, pochi mesi dopo, vennero fuori le circolari Depretine, quelle circolari veramente miracolose che ebbero la virtù, dall’oggi al domani, di addomesticare e rendere più miti e più ragionevoli tutti gli orsi e gli orsacchiotti della finanza governativa.

Io non potevo rassegnarmi a credere in questa metamorfosi più mitologica delle Metamorfosi d’Ovidio: nondimeno, fatto un animo risoluto, tornai daccapo dall’agente delle tasse (per chiamarlo, al solito, come lo chiamano i nostri professori di Storia Naturale).

Dio di misericordia! Quanto lo trovai cambiato da quello d’una volta! Non si riconosceva più. Era diventato una pasta di zucchero, un uovo filato, un budino ripieno di complimenti e di buone maniere.

Appena seppe dall’usciere che nell’anticamera c’era un povero contribuente che voleva presentargli un ricorso, venne tutto garbato sulla porta della stanza e con un sorriso amabilissimo mi disse:

— Passi, la prego.