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quella del secondo, e così, su su, in pochi minuti tutto il casamento era informato della brutta avventura toccata al povero padrone dell’Elvetichino. Intanto la Gazzetta officiale fiorentina usciva fuori il giorno dopo queste righe nella cronaca della città: — «Ieri, nel Caffè dell’Elvetichino è accaduto un mezzo scandalo. Una persona, forse affatto ignara degli usi e dei costumi di quel Caffè, dopo aver mangiato una costola panata ha osato imprudentemente di volerla pagare. Questo spiacevole incidente, per buona fortuna, non ha avuto conseguenze luttuose».

All’uscita dei teatri, e particolarmente in tempo di carnevale, l’Elvetichino si trasformava lì per lì in suprema Corte di giustizia, per sentenziare sulle commedie nuove, sulle tragedie nuove, sulle opere nuove in musica e sui balli nuovi. Le sentenze dell’Elvetichino erano inappellabili.

Quanti mammiferi anonimi, che oggi sonò diventati Consiglieri, Commendatori, Magistrati, Sindaci, Tribuni, Romanzieri, Artisti, Poeti, Deputati e Uomini di Stato, hanno mosso i loro primi passi al mal costume e alla celebrità fra le modeste pareti del piccolo Elvetichino.

Dentro questo Caffè, per ragione di diritto o di spensieratezza, era lecito parlare un po’ d’ogni cosa: anche di politica, anche di libertà, anche dell’Italia di là da venire, e se ne parlava senza mistero a voce alta, come se il Granduca fosse un mito e il Prefetto di città un orco immagi-