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drammatiche d’Italia con la modica spesa di un paolo, che, tradotto in moneta italiana, voleva dire cinquantasei centesimi di sordido rame. Quest’uso, col tempo diventò un diritto; e i diritti si difendono, ma non si discutono: tant'è vero che il giorno nefasto, in cui l’impresario Somigli, per ragioni forse più economiche che politiche, osò inacerbire il biglietto d’ingresso, portandolo alla cifra draconiana di ottantaquattro centesimi (parafrasi di una lira toscana) fu un giorno di lutto universale per tutta la città. Si chiusero le botteghe, i cittadini tumultuarono nelle vie, e il Granduca, ispirandosi alla gravità del caso, fece consegnare i suoi giandarmi in caserma, per paura che in tutto quel subbuglio non rimanessero sotto qualche carrozza.

Quanto alla Pergola, era un teatro che aveva questa singolarità: che il suo pubblico non cambiava mai! Da un anno all’altro e in tutte le stagioni di spettacolo, sempre i medesimi visi, i medesimi malcontenti, i medesimi discorsi nei palchi e nella platea. Invece di un pubblico teatrale, variato e variabile all’infinito, pareva piuttosto una Associazione politica in sera di elezioni, o una Camera di deputati in tempo di crisi ministeriale.

Oggi la Pergola è morta, e forse morta per sempre: e i pochi fiorentini superstiti se ne addolorano sinceramente, non tanto per la morte immatura di quel teatro, quanto per la dispersione della sua orchestra, dei suoi coristi e più che altro delle sue coriste. Povere coriste! Così