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— Ciao, veccio mio! come stai? Ho da farti un monte di saluti: a Milano, a Torino, a Genova tutti mi hanno domandato di te. Perchè ti sei dato al poltrone? perchè scrivi così di rado? Peccato! che bell'ingegno sciupato!... Se avessi io il tuo spirito e la tua penna!... Ma Iddio manda le sacca a chi non ha il grano. Basta, tiriamo avanti con questa prova. Prego, ragazzi, un po’ di silenzio! —

E il capocomico e la prima donna cominciano la prova dalla loro scena.

Quand'ecco che, sul più bello, arriva il postino con un fascio di lettere. Il capocomico interrompe la prova a secco, prende le lettere, le scorre fra le dita, ne apre una con grandissima curiosità; e dopo aver letto poche parole, si mette ad urlare:

— Son cose da assassini! Cose da ergastolo! Ma se quei signori dell’Arena di San-Gattoni credono di girarmi nel manico, oh! la sbagliano davvero. L’hanno trovato il suo! Intanto, per mettermi in regola, scappo subito dall'avvocato.

— E la prova? — domanda il povero autore.

— La prova può camminare senza di me. Per la parte mia non dubiti. Domani alla prova generale lei vedrà di che cosa sono capace. Non sa che alla Mirandola sono stato feto di mettere in scena l’Amleto dalla mattina alla sera? E di quelli Amleti se n’è visti pochi, glielo dico io. Ha fiducia in me? dunque arrivedella a domani. —

Si finisce a pezzi e bocconi di mugolare il resto della commedia.