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novella xli. 69

XLI.


La fuga per ispavento equivoco.


Io udii già dire ad uno (e mi parea che lo dicesse per ischerzo) che le gambe dell’uomo hanno più ingegno del cervello. Esse, diceva, quando nasce un fanciullo, guizzano quasi subito, si raggrinzano, si stendono, si stringono e allargano; non istanno mai salde. Quando sciogli dalle fasce un bambino, tosto lo vedi coi piedi all’aria; e se le forze servissero alla buona volontà, lo vedresti camminare appena nato. Vedi i cerviatti, i puledri, i pulcini come tosto balzano in piedi e corrono. In breve, le gambe fanno i primi ufficj della vita, e se badi bene, le sono più o almeno tanto necessarie, quanto le mani e ogni altro membro del corpo. Potrei dir mille cose di loro; ma ristringomi a una sola, cioè al grande ajuto che prestano all’uomo quando si trova in un gran pericolo: allora egli si vede chiaro che l’intendono meglio della testa. Sarà uno, per esempio, che comincia a dir villania ad un altro, e quegli risponde, e si riscaldano d’ira. Se volessero confessare il vero, mentre che le parole ingiuriose si vanno infiammando, le ginocchia dicono loro sotto: Non fate; e perchè le non hanno altra eloquenza, le tremano sotto alle cosce, e, come possono, danno avviso all’uno e all’altro, che vadano via di là e voltino le spalle al nemico e alla zuffa. Chi presta loro orecchio a tempo, si salva; chi si ostina e non rimane dalla rettorica forza di quelle persuaso, ne riporta il capo spezzato, o forato lo stomaco o la trippa, o ammazza altrui, per balzar poi in una prigione. Sono passati appunto pochi giorni, che vidi la virtù della loro eloquenza, e il caso fu questo.

In Merceria si udirono prima due voci a borbottar piano, che mormoravano non so che fra denti con dispetto; e pareano prima come due voci in un bosco da lontano, che vengano al verso di qua, le