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NOVELLA XXXVIII. 65

mano, oltre all’impaccio delle falde e de’ bottoni che di dentro gli ammaccavano la pelle. Vestitosi in tal guisa tutto riverso, traendo qualche sospiro a cagione delle scarpe e delle calze di sotto, si avviò col nome del cielo per andare a casa sua. Io che per caso avea veduto tutta questa manifattura, gli andai dietro, osservando com’egli si affaticava di camminar leggiero e come spesso si avea l’occhio alla gamba, ed ogni sprazzo di fango gli era un coltello nel cuore. Se la signoria vostra può avere alla testa delle faccende sue cotesto uomo dabbene, io sono certo che a tai segni avrà uno de’ più oculati e diligenti risparmiatori che sieno al mondo.

XXXVIII.


Come il pronto ingegno può talora salvare dalle disgrazie


Ne’ trascorsi giorni passando un uomo dabbene per la contrada di San Canziano, ode molte voci che gridavano: Ah, cane! lascialo: che vuoti tu ucciderlo? Va oltre e vede un uomo che avea disteso in terra un fanciullo, e con pugna e calci l’avea condotto a tale, che il poveretto non si potea più movere, nè quasi avea voce da dolersi. Il buon uomo lo rimprovera; e quegli, lasciato il fanciullo, volta la faccia a lui e con parole minacciose e villane lo attacca. L’altro che non avea arme, nè sapea come difendersi, presa una subita risoluzione e fatto un viso e una voce grave, gli disse: Ad un mio pari parli così? fa quel che vuoi e ammazza il fanciullo, ma vediti le forche sugli occhi. L’altro sbigottito, si tragge la berretta e con inchini gli chiede perdono. Vedendolo il valentuomo umiliato, e volendo vendicarsi forse della paura che fatta gli avea: Io t’insegnerò, gli disse, a parlare agli uomini della mia condizione con sì poco rispetto; e avventatosi addosso a lui, gli diede una buona pastura di calci e pugna, alle quali fu sempre risposto con ri-