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30 NOVELLA XVIII.

fra le ricchezze l’ uomo debba stare pettoruto e ingiuriar con le parole per parere nobile e grande, come quegli che non conosce più là e comincia ad essere nel mondo; non solo ha certi suoi costumi particolari nelle civiltà, ma una morale dettatagli dal suo cervello. Ora essendo avvenuto che un povero operajo carico di famiglia si era indebitato seco di alquanti scudi, e svillaneggiandolo egli senza carità, e dicendogli fra le villanie alquante parole poco misurate che lo toccavano nell’onore, il povero uomo con la berretta in mano si era difeso con le parole, chiedendogli mille volte perdono. Ma egli pieno di furia l’avea cacciato giù per le scale, e poi giurato di farne un’aspra vendetta, nè volea udire chi di lui gli parlava, procacciandogli una prigione pel debito che avea. Un buon padre che lo conoscea, stimolato dal buon uomo, andò a lui, e fattegli prima molte cerimonie per domare quel cervello di quercia, incominciò a chiedergli compassione e perdono, e a dipingergli dinanzi agli occhi lo stato infelice del meschinetto artefice, della piangente moglie e dei desolati figliuoli. Rise amaramente quel cuore di porfido, e poco mancò che non rinfacciasse al padre la cagione della sua venuta. Pure scambiatosi fra loro il ragionamento, incominciò a poco a poco messer Pecora a lodare la sua pietà e il suo essere un buon cristiano, e andato ad un suo armadio, ne cavò fuori un disegno, e disse: Padre mio, io voglio che veggiate se io penso da uomo e secondo il dovere della religione; e così dicendo gli squaderna un foglio dov’era disegnato un sepolcro, così bello che sarebbe stato forse gran cosa ad un generale di eserciti; e dicendo le cose una per un’altra, spiegava al buon padre l’architettura, e ricordava le migliaja de’ ducati che dovea spendere in quell’edificio. Il buon religioso, udito attentamente ogni cosa, finalmente gli disse: Ci vuole un’iscrizione. Io lo so, disse Zucca al vento, e pregherò voi che me la facciate, ma italiana, perché non basta che la intenda io, e voglio