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novella v. 229

cire la sua doglia e dargli coraggio, gli promise quella protezione che il giovane avrebbe volentieri pagata col proprio sangue, e le si offerse di pagargliela con quante possedea facoltà al mondo.

Il primo di tutt’i beneficj dovea essere quello dell’introdurre Numan a’ piedi di colei ch’era da lui detta sua sposa. Raziè vi si accordò; la cosa fu facile con un travisamento. Numan venne vestito da fanciulla. Benchè belle e regolate fossero le fattezze di lui, non potea però la faccia, già interamente formata, essere creduta di donna: un velo che avea a coprirlo, accreditava l’impostura.

Quando giunse alla porta del serraglio, la soprintendente spianò le difficoltà che venivano fatte dagli eunuchi per ammettere colà dentro una forestiera. Passò per moglie del medico, e l’una e l’altra salirono verso una lunga sala, e Raziè, la quale per discrezione non volea essere testimonio del primo abboccamento fra i due innamorati, additò alla creduta moglie del medico le stanze di Zeineb: erano prossime a quelle della principessa Abaza. Numan tutto sossopra, essendo entrato in una fila di stanze, tutte più magnifiche l’una dell’altra, si avvide che nell’ultima eravi una donna superbamente vestita, la quale orgogliosamente domandò donde le fosse venuto l’ardimento di entrare nelle sue camere non chiamata.

Numan pieno di spavento volle proferire alquante parole, ma fu dalla voce tradito. La principessa in sospetto che il velo coprisse un maschio, glielo strappò e venne in chiaro della verità. Le crebbe in doppio lo sdegno, e già era pronta a far perire il temerario; quando egli cadendo davanti inginocchioni, le chiese per grazia di poter morire alla presenza di Zeineb ch’era la vera cagione della sua colpa: e già uscito fuori di ogni speranza di salvezza, le raccontò in breve la sua storia con ingenuità e dolore del pari, e senza mai spiccarsi dalle ginocchia della principessa, quelle tenea strettamente abbracciate.

Abaza, di animo naturalmente buono ed umano,